Cosa fa di una persona un essere normale? Cosa rende normale un non-normale? Domiziano Cristopharo ha la sua risposta. Ma non vi piacerà, statene certi.
The Museum of Wonders narra le vicende dietro il telone di un gruppo di artisti circensi: nani, fachiri, donne barbute. Tutti i mostri da baraccone in bella “mostra”, alla mercé delle nostre più inutili paure. Cristopharo è un regista che crede nella diversità, non nell’uguaglianza. L’uguaglianza è una cosa brutta, abietta e omologante. La diversità è invece gioia, confronto, interscambio. Non è vero che siamo tutti uguali, semmai siamo tutti diversi. Voler rendere elogio alla diversità e vilipendere l’uguaglianza è cosa ardita, va da sé, ma un gruppo di circensi può fare al caso di Cristopharo.
La compagnia itinerante è alle prese con le nozze del nano Marcel (direttore dell’impresa) con una bella burlesque, unica normale fra mille mostri. Le nozze incombono, ma molti non vedono di buon occhio la bella ballerina, sicuri che voglia sposare il nano solo per entrare in possesso della sua eredità. Ma la normalità è un affare livellante, castrante. E come rendere questa bruttezza in un mondo di brutti e anormali? Quello di Cristopharo è un intento nobile e coraggioso: mostrare la normalità dei “diversi” attraverso i loro comportamenti sociali a noi simili. Se i normali sono i veri mostri, allora i mostri per essere normali non hanno che da essere come noi. E se un’uguaglianza estetica è loro impedita per via delle loro brutture somatiche, per emularci non hanno che da copiare i nostri comportamenti sociali mostruosi.
Ed ecco così che l’elogio della normalità è cosa spregevole e sconfortante, perché non potrebbe essere altrimenti. I mostri si elevano a normali solo quando decidono di essere xenofobi, o quando arrivano a tradire la fiducia del proprio partner o – infine – quando riescono ad uccidere per gelosia. È questa la tragica fine a cui è destinato chi decide di diventare normale. Si ritroverà a banchettare sul cadavere del suo nemico in amore senza provarne la minima vergogna. Perché la bruttezza è lo specchio delle nostre paure, luogo in cui ci permettiamo di sfogare le nostre angosce e sofferenze. La bruttezza è un’azione, un sentimento, uno stato dell’anima, non una connotazione estetica.
Domiziano Cristopharo, alla sua seconda regia dopo House of Flesh Mannequins, torna a parlarci con stile grottesco e dark degli outsider, dei reietti della società, mostrandoci come la normalità sia soltanto il frutto di convenzioni sociali, le quali non garantiscono affatto un profilo umano e morale attraente. La normalità è altra cosa – ammesso che esista – e se la si vuole trovare la si deve cercare nei puri di spirito, non curandosi delle loro connotazioni estetiche. La donna barbuta, ora possiamo dirlo con certezza, è persona senz’altro migliore della bella burlesque, o di quello che il nano diventa quando decide di normalizzarsi. Se la normalità esiste è figlia della saggezza e non della bellezza; è figlia della spiritualità e non dell’epidermicità. Ambientazioni gotiche con innesti spiccatamente dark e un gusto pornografico per il deforme fanno di The Museum of Wonders un caso decisamente particolare dell’attuale cinema italiano, che merita un’attenzione che ancora non pare suscitare.
Non mancano però delle imperfezioni drammaturgiche: un utilizzo troppo accentuato del registro poetico fa saltuariamente perdere al film la sua essenza cinematografica, penalizzando la veridicità dei personaggi. Nondimeno Cristopharo, per troppo citazionismo, a volte si perde, proponendo dei contenuti che avrebbe potuto benissimo esprimere a modo suo senza il bisogno di ricorrere a simili artifici. Questi due nei conferiscono un senso di altrove e di spaesamento alla pellicola, limitandone il valore. Ma il film di Cristopharo rimane comunque una riuscita – e suggestiva – indagine grottesca nel campo delle bruttezze, delle perversioni e delle mostruosità che popolano tutti noi, nessuno escluso. Le stesse bruttezze che permettono ad opere del genere di essere applaudite in giro per il mondo (dal Belgio all’Australia) ma che non riescono a trovare una distribuzione che si assuma il rischio di far arrivare l’opera di Domiziano nelle nostre sale.