Piercing

di Nicolas Pesce

Mia Wasikoska, venere di desideri perversi e culto del dolore.

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I am very happy / So please hit me / I am very, very happy/ So please hurt me cantava Antony nella sua Cripple and the Starfish, uno dei pezzi più tragicamente innamorati del dolore. L’amore e la violenza, questi due illustri conosciuti, su cui tanto si è scritto e visto, i giapponesi, maestri del dittico, hanno raggiunto vette con registi come Oshima, Miike e Ryū Murakami. Proprio lui, autore del romanzo da cui è tratto Piercing. Il freddo latex di Tokyo Decadence lascia spazio alla voluttuosa pelliccia della venere Jackie, interpretata da Mia Wasikowska, crudele vittima e dolce carnefice del suo rapitore.

Reed è un uomo distinto che con meticolosa normalità e accurata eleganza sta per lasciare sua moglie e sua figlia, preparandosi per un apparente viaggio di lavoro, un senso di incontrollata violenza già si percepisce dai primi minuti del film di Nicolas Pesce, classe 1990. Un film che come tanto horror contemporaneo ancora una volta si guarda allo specchio, tentando da un lato di sovraccaricare la forma, dall’altro svelandone subito i meccanismi, aggrovigliandosi nei rimandi e nell’aspetto più squisitamente ludico ma aprendo un discorso più ampio sull’eredità del cinema di genere.

Una prostituta un po’ annoiata viene chiamata da un cliente, forse un serial killer, forse un sadomasochista dei più raffinati e brutali. Nessuno sa cosa nasconde l’altro, nessuno sa quanto può essere rassicurante e pericoloso allo stesso tempo chi si ha di fronte. La commedia va in scena, il gioco tra la Venere e il suo Severin inizia. Ognuno nel suo ruolo che diventa dell’altro. Split screen, rossi accesi e Goblin, il regista non fa mistero della sua devozione al nostro cinema più efferato e abbagliante e, così come la coppia belga Cattet-Forzani (Amer, L’étrange couleur des larmes de ton corps e Laissez bronzer les cadavres!), si inchina al dio Argento e saccheggia con una certa spavalderia musiche, dettagli, messa in scena, cromatismi.

Reed e Jackie, necessitano di quella commedia, il gioco di ruoli diventa linfa e, più riconoscono sé stessi nell’altro, più danno sfogo al desiderio, favorendolo e assecondandolo.  
Ma se per Paul Thomas Anderson la battaglia per l’affermazione e la sottomissione diventa una questione tutta mentale tra i fili nascosti, qui si dà libero sfogo a torture fisiche che non lasciano spazio all’immaginazione. Corpi legati, imbavagliati, drogati fino a impedirne qualsiasi movimento, ripetute ferite autoinferte, allucinazioni visive, tutto quello che il sadomasochismo e il feticismo più estremo contemplano e prevedono. Reed e Jackie si incontrano per ritrovarsi.
Non vuole neanche sorprendere con twist inaspettati Piercing, quello che accade ai protagonisti è già un topos ampiamente conosciuto. Da rimandi alti come von Sacher-Masoch, il divin Marchese, Pauline Réage, a tanto cinema che ha reso celebri storie di vittime e carnefici, dipendenza e (e dal) dolore: Maîtresse di Barbet Schroeder, Bad Timing di Nicolas Roeg, fino all’ultima prodezza appunto di Paul Thomas Anderson. La storia di Reed e Jackie è già lì nonostante il futuro resti sempre incerto.

Dramma d’interni quello di Piercing, prima la camera d’albergo poi la casa della ragazza, la città solo per pochi attimi. La storia d’amore tra i due germoglia nel dolore e nella dolcezza che ne scaturisce subito dopo, ma accade lontano da tutti, fuori dalle luci della metropoli e nascosti tra le mura dei desideri e delle pulsioni più inconfessabili.
Humor nero e grottesco sono la cifra di un film che non si sofferma alla mera superficie di un omaggio allo splendore di quell’horror che non c’è più, Piercing è sì un esercizio smaliziato e accattivante, ma è anche una tenera storia di disperato bisogno di comunione.
L’ostentato manierismo estetico che volutamente infastidisce è solo il contraltare di una più semplice voglia di utilizzare quella superficie scintillante per inoltrarsi nei più neri, ma talvolta basilari, istinti.
Il bisogno primordiale di ritrovare in quella preda, il padrone che possa sfamare la necessità di godimento e che sia anche qualcuno a cui poter dire “Mangiamo prima?”

Autore: Andreina Di Sanzo
Pubblicato il 21/05/2019
USA 2018
Regia: Nicolas Pesce
Durata: 81 minuti

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