Tutte a casa - memorie digitali da un mondo sospeso
Donne, lavoro e relazioni ai tempi del Covid - 19 , raccontati nel social- movie del collettivo "Tutte a casa"
“Tutte a casa. Memorie digitali da un mondo sospeso” è il titolo del social movie realizzato dal collettivo “Tutte a casa” , per la regia di Nina Baratta, Cristina D'Eredità, Eleonora Marino. Il collettivo, composto da 16 donne professioniste dello spettacolo, nasce durante il lockdown della primavera 2020, come opportunità allargata a tutte le donne, coinvolte per età ed estrazioni differenti, a riflettere in modo ponderato sui mutamenti del loro lavoro e delle loro relazioni ai tempi del Covid -19. Anche per questo il film è stato trasmesso in prima visione Tv per la ricorrenza dell’8 Marzo 2021, a gettare uno sguardo mirato su un anno esatto trascorso in stato di emergenza, ancora purtroppo attuale. Questa opera di video - diario collettivo, nasce anche dall’intento dichiarato di voler valorizzare la dimensione social che connota la cultura contemporanea e che trova nel web, campo esperenziale ormai abituale.
“Tutte a casa” come organismo, opera e linguaggio, è il risultato esemplare, di una ben curata, etica e strategica gestione di community on line, politiche di azione dal basso (il crowdfunding con cui è stata portata a termine la fase di post produzione) nonché dei dispositivi cellulari come strumento descrittivo (ben 8000 i video pervenuti). Ma non è tutto, perché il suo reale valore aggiunto emerge se calato, con tutte le dovute differenze di genere e produzione, all’interno dell’universo audiovisivo globale, che incalzato drasticamente dalla quarantena forzata, ha trovato nel reclutamento amatoriale contenuto di genere proprio. Nel panorama italiano si va in linea di massima dall’autorialità di Gabriele Salvatores con “Fuori era primavera” (spaccato d’attualità, dove uno sguardo demiurgo, in una frenesia d’emozioni tra pubblico e privato, suggella l’iconografia massmediale del tempo: il Papa solo in piazza S. Pietro; i camion militari a Bergamo...) passando per il boom degli spot pubblicitari, realizzati con la collaborazione di clienti pro-sumer, in cui sull’onda del mantra “Andrà tutto bene” (stereotipi di) donne e uomini (a prescindere che si pubblicizzi cibo, telefonia, polizze assicurative) si mostrano per lo più mentre cucinano le une, suonano strumenti musicali gli altri (bambini al seguito senza diversificazione) sino ai video clip, girati come veri media events su instagram e al proliferare di web-diary dalle disparate finalità ludico-didattiche.
“Tutte a casa. Memorie digitali da un mondo sospeso” al contrario si prende la responsabilità di approfondire il proprio focus d’osservazione, cercando di delineare un attendibile contesto intorno alle singole testimonianze, nonchè di eludere quanto possibile il rischio dei clichè e dell’assuefazione al flusso di immagini già (ab)usate nell’immaginario mediatico. Solo in forza di questa impostazione programmatica l’intenzionalità della narrazione, che è per ovvie ragioni sapiente costruzione di montaggio, può darsi come documento condiviso di memoria collettiva viva, che nel farsi è interrogarsi continuo.
Il film ha l’evidente pregio di mantenere un tono equilibrato e distensivo e di portare allo stesso livello chi si racconta e chi ascolta, tenendo fede al confronto fecondo su cui poggia l’intero progetto, sin dalla locandina illustrata dall’artista visuale Chiara Fazi: una molteplicità di pianeti gravita nello spazio, da ognuno si affacciano donne a tracciare l’una con l’altra traiettorie di sguardi reciproci. Partendo dunque dalla propria “sfera” d’azione, la casa, unica praticabile e sacrificata alle esigenze della convivenza familiare protratta, alcune donne bramano ardentemente un rifugio esclusivo di silenzio, altre invece misurano incredule il confino della postazione di lavoro. Un esempio pragmatico della complementarietà di prospettiva è il caso di due donne mature, ritrovatesi d’improvviso a dover abbracciare il concetto di “on line”, che per una rappresenta l’inconsistenza dei mancati festeggiamenti di una laurea in video-conferenza, per l’altra è invece miracolo della tecnologia e privilegio, che le consente di partecipare al compleanno del nipotino. E sullo sfondo della smaterializzazione del contatto fisico, ecco far capolino i nativi digitali, che hanno nei piccolissimi schermi l’imprinting degli affetti familiari.
Fil rouge costante di questa galleria di autoritratti strettamente femminili (in cui sovente attraverso confidenze, fugaci apparizioni, controcampi e fuori campo, sono esposti anche padri e mariti) non può che essere la deflagrazione del sovraccarico materno, che è simbiosi totale con l’ecosistema familiare e professionale: faccende domestiche, smart working, cura e sorveglianza dei figli, ma anche per converso dei genitori disabili, diventano inscindibile multitasking di sopravvivenza senza soluzione di continuità, con l’unica priorità di non perdere la testa. La madre/figlia (im)perfetta e ragionevole ammette che tutto il suo stremo non possono equiparare le risorse e il sostegno garantite da una sana comunità educativa. Tra le mura domestiche, faccia a faccia con se stesse, vanno quindi in frantumi convenzioni e convinzioni, come la precisione e la finalità della cura estetica, impalcatura secolare del canone femminile, che dall’ironia dei rimedi fai da te passa rapidamente ad una vera e propria rivoluzione del gesto, quale può essere un drastico taglio di capelli, a simboleggiare il coraggio del taglio netto col passato e con gli schemi imposti. Gesti simbolici, ma soprattutto liberazioni reali, quelle di donne che non hanno più retto il macigno fisico e morale della violenza domestica, aggravata dalla coabitazione col proprio aguzzino e sono evase, proprio quando sembrava vietato.
Saper impugnare dunque il proprio sguardo “in camera” (tanto nello specifico audiovisivo, quanto in quello fisico di uno spazio recluso) in modo emancipato e partecipato, pare essere la conquista, qui veicolata come antidoto all’implosione del microcosmo individuale quando, parafrasando Susan Sontag, il dolore sconvolgente degli altri è dolore di tutti.