La Terra è amaramente governata dagli uomini. Animali, piante, natura… tutte balle! Ed uno dei crucci perpetui dell’uomo è il tempo, la fissazione del tempo, l’innata ricerca dell’eternità. Negli sgoccioli di questo grigio anno di crisi e di sciagure meteorologiche si affaccia nelle sale cinematografiche nostrane un bel documentario – nel contenuto più che nella forma – di Davide Ferrario, ovvero Piazza Garibaldi. Già autore del controverso Guardami e di Dopo Mezzanotte, la sua ultima fatica è stata realizzata in occasione dell’anniversario dei 150° dell’Unità d’Italia, e presentato nell’ultima edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Il centro del documentario è molto semplice: ripercorrere il viaggio del Generale, da Quarto fino alla Sicilia, risalendo poi fino a Teano sulle orme dei giovani fanciulli bardati di rosse camicie, i Mille, in un’Italia non ancora unità, ma fervida e brillante, piena di idee, sogni ed ideali. Un documentario di viaggio, nella sua essenza antropologica nel paese attuale, in perenne confronto e paragone con il passato, con la storia.
Un’espressione reale e contemporanea del/nel nostro Paese, vissuta ed analizzata anche con le parole del passato, dalle letture garibaldine, agli scritti di Saba, di Leopardi, di Savinio, di Bianciardi letti rispettivamente da Paolini, dalla Littizzetto, da Filippo Timi e da Salvatore Cantalupo. Un’espressione esaltata delle musiche di Verdi che ci accompagno durante tutto questo viaggio alternando presente e passato, immagini d’archivio e riprese filmate, in maniera ottima, nell’uso funzionale e preciso del mezzo cinematografico e del montaggio.
Partendo – in fondo – da “Torino 61”, durante i festeggiamenti per il centenario dell’Unità, in un paese profondamente diverso da quello di oggi, per esigenze e necessità, si avverte un certo ottimismo, un positivismo di fondo con un immenso sguardo rivolto al futuro, a quello che verrà. Sguardo non dissimile da quello dei giovani ragazzi che circa un secolo prima, nel loro ardente ideale, partirono insieme a Garibaldi nella sua poi famosa impresa. Sguardo privo invece nelle immagini “del presente”, nelle parole della gente. Forse è uno sguardo che si è trasformato in cecità. Perché per dirla con le parole del regista stesso: “l’Italia è demograficamente morta, non c’è più nulla da fare se non assistere al declino di un popolo che tanto ha fatto ma nel giro di pochi anni non ci sarà più”.
Un film, come già detto, tecnicamente non ineccepibile, ma che trova nel suo contenuto la sua forza maggiore. Un film che dovrebbe far riflettere sullo stato di salute del nostro Paese, non privo del tutto di una speranza di fondo, un film utile e necessario per capire e per pensare sulla nostra storia, pratica oramai così persa nel tempo; in questo paese dove una vera rivoluzione contro i Padri – come scrisse Saba – non ce l’ha mai avuta, perché – del resto – l’Italia si fonda sulla sua natura fratricida. Come Romolo e Remo.