La pelle di Satana
Distribuito nel 1971, il seminale folk horror di Piers Haggard racconta il mondo in subbuglio della fine degli anni '60 del Novecento e la rivolta dei figli contro i padri.
Nel suo The History of Witchcraft and Demonology, Montague Sommers definisce le streghe come devote a un credo osceno e aberrante, esperte di ricatti e di altri subdoli crimini, blasfeme nelle parole e nei fatti, in grado di plagiare gli abitanti dei villaggi con il terrore e la superstizione, maestre di vizio e di inaccettabili corruzioni, e dedite al nutrimento delle più turpi e ripugnanti passioni del tempo. In modo particolare, secondo la dottrina demonologica, carattere saliente del personaggio mitologico della strega è quello di stringere un patto con il Diavolo e di concederglisi anche sessualmente. Durante il grande raduno del Sabba, al quale presenzia Satana nelle sembianze di un grande caprone (raffigurato più volte da Goya in questa forma bestiale), le streghe si sottomettono al Diavolo e scatenano le orge, partecipando a una messa nera che si conclude con il sacrificio rituale di innocenti.
Nel corso della sua storia e nell’ambito delle teorie orientate a un ripensamento critico delle intersezioni tra cultura e genere, l’horror – in modo particolare – ha incorporato nella sua struttura i segni specifici degli eventi sociali e politici che hanno caratterizzato la storia dell’umanità. Concentrando la nostra attenzione sull’horror cinematografico, è possibile parlare di una collisione tra sistema di segni della semiosfera di natura culturale (trauma storico) e di un’altra di natura generica. Attraverso un ripensamento della relazione tra genere e real trauma in termini di allegorical moment, l’horror ha aperto i propri confini per incorporare significati extratestuali dello spazio semiotico dei traumi di natura culturale. Insomma, i film di genere non rappresentano direttamente l’evento traumatico ma lo adattano, lo ridefiniscono e trasformano i suoi segni, ponendoli in dialogo con le convenzioni narrative della struttura di racconto di riferimento.
La pelle di Satana è un folk horror prodotto in Gran Bretagna nel 1971 e realizzato grazie alla Tigon British Films, la terza sorella del cinema di genere britannico insieme ad Hammer Films e ad Amicus Productions. Eppure, nel 1968, è stata proprio la Tigon a firmare uno dei capisaldi del genere, Il grande inquisitore, film che ha affondato le mani tra le leggende, le cronache popolari, il folklore locale, il paganesimo europeo e le superstizioni, e che ha raccontato il mondo e gli uomini come strumenti manovrati dal Male, in attesa di quel The Wicker Man che, appunto, insieme a La pelle di Satana costituisce la triade del folk-occult horror a cavallo tra gli anni ‘60 e ‘70, epoca che ha fornito al mondo del cinema numerosissime occasioni di rappresentazione e rielaborazione mediale.
Un piccolo villaggio dell’Inghilterra rurale del XVII secolo è scosso dal ritrovamento di un cadavere parzialmente dissotterrato e ricoperto di pelo. Il boscaiolo che ha rinvenuto il corpo avverte il giudice del paese ma la sua perquisizione non porta ad alcunché. Nel giro di pochi giorni, però, il villaggio cade preda del Demonio. Una strana epidemia si diffonde in tutta la comunità, macchie ispide di pelo crescono su lembi di pelle dei più giovani, che iniziano a riunirsi tra i boschi per dare vita a strani riti oscuri. Toccherà alla retroguardia, guidata da un razionale abitante della città, contrastare l’avanzata di Satana.
Evitando di soffermarsi troppo sul fatto che il film presenti, in effetti, poche scene efferate e puramente horror, e che la costruzione dell’atmosfera sia, piuttosto, delegata a sequenze perturbanti rette da un orrore subliminale, sottocutaneo e, per questo motivo, molto più intenso di quello tradizionale, risulterebbe impossibile non cogliere i riferimenti del titolo alla situazione statunitense di fine anni ‘60. In un periodo in cui Charles Manson e i suoi accoliti spopolavano (a tal punto da spingere i media all’utilizzo del nuovo termine home-invasion), le cultural wars e gli hippie esprimevano la loro vis contestatrice nei confronti della generazione dei genitori e Romero e Craven sancivano il passaggio del cinema horror dal classicismo alla modernità e a una dimensione di orrori reali e contemporanei, La pelle di Satana riesce a tessere la propria tela inserendosi con merito nell’agone critico d’epoca.
Nel film, il Demonio appare come una presenza strisciante e sfuggente, individuabile soltanto attraverso le stimmate che provoca tra i giovani del villaggio, probabilmente colpiti da una sorta di allucinazione collettiva da fumi del sabba. Satana apre le porte della percezione e accoglie i giovani della comunità, il cui coming-of-age, in un certo senso, passa attraverso la distruzione sistematica del mondo dei genitori. Ecco che la frenesia puberale degli adolescenti si trasforma rapidamente in rivolta verso le istituzioni degli adulti e le loro convenzioni sociali, abbattute attraverso una fruizione dirompente e sfrenata della sessualità. Almeno, fino all’intervento di giudici e gendarmi per ristabilire l’ordine sociale.
Per quanto didascalico nella sua intuibile struttura retorica e rapido in un finale che ristabilisce lo status quo e appiattisce ogni tensione dialettica in modo fin troppo immediato, La pelle di Satana dimostra di essere un prodotto in grado di inserirsi pienamente nella sua contemporaneità, di intrecciare abilmente realtà storica e leggende folkoristiche, di dare vita ad un terrore irrazionale provocato da ripetute incursioni nel mondo del fantastico e di possedere anche il merito di mantenersi lontano dall’exploitation più mediocre.