Più umano dell'umano - Il suono del vento di Hayao Miyazaki
Il rapporto tra suono ed immagine nell'ultimo capolavoro del regista giapponese
Data la complessità dell’ultimo acclamato lavoro di Hayao Miyazaki, Si alza il vento, si impone una riflessione specifica sulla sua dimensione audiovisiva, ovvero sul rapporto fra suono e immagine che informa questa narrazione cinematografica. Rapporto che, come è noto, costituisce l’oggetto di indagine di Sonorità.
Come di consueto, essendo il suono cinematografico la risultante di tre componenti (musiche, dialoghi e suoni ambientali), si tenterà di offrirne una lettura integrata, con l’obiettivo di svelare qualcosa in più su quest’opera, su come e quanto essa parli all’uomo e dell’uomo. Certamente, come già notato su queste pagine da Alessandro Gaudiano nella sua analisi, uno dei temi principali dell’opera è il rapporto tra uomo e ambiente, dunque tra natura e cultura. Ed è proprio tale tema ad essere centrale nella dimensione sonora del film, non tanto e non solo per ciò che concerne la musica, per la quale il regista si è avvalso della collaborazione oramai storica di Joe Hisaishi, che ha già musicato ben nove dei suoi lungometraggi, ma soprattutto per quanto riguarda la componente rumoristica, alla quale è senza dubbio affidata buona parte del potenziale espressivo del film.
Andiamo con ordine. Dal punto di vista strettamente musicale il compositore opta per uno stile decisamente minimalista e scevro da intenti etnicizzanti: interventi musicali brevi e sempre attenti ad evitare qualsiasi ridondanza; compagine orchestrale spesso ridotta a pochi strumenti (mandolino, balalaika, chitarra spagnola, fisarmonica e archi), con un uso della dinamica estremamente misurato; elementi tematici non sottoposti a sviluppi trasfiguranti, ma più spesso interpretati in termini di variazione microscopica. La musica, insomma, non invade mai il racconto e non si incarica mai di esprimere atmosfere che altrimenti resterebbero taciute: e questo perchè nulla, nell’opera di Miyazaki, viene dato come inespressivo, come orpello o come mero elemento costruttivo della narrazione, bisognoso di essere “animato” dalla musica o dal suono in generale.
Hisaishi comunque ricorre ad alcuni dei canoni classici della musica per cinema, e più in generale della musica con valore di commento. In particolare vi è quello che potrebbe essere identificato come un vero e proprio tema del protagonista, che appare fin dalla sequenza iniziale del film. Si tratta di una melodia semplice ed orecchiabile, impiantata saldamente sul modo lidio: un tipo particolare di scala (detta anche scala maggiore napoletana) che per l’orecchio occidentale ha una sonorità pacifica e distesa, spesso legato ad un contesto agrestre e a un’idea positiva di natura, dunque di rapporto uomo-ambiente (per fare due esempi volutamente distanti, il modo lidio è chiaramente percepibile nel terzo movimento del Quartetto per archi n. 15 in La minore op. 132 di Beethoven, e nella altrettanto celebre sigla dei Simpson).
Nella miglior tradizione wagneriana, questo tema ricompare più volte nel corso della narrazione, sempre legato alla figura di Jiro, ma tingendosi di tinte differenti a seconda dei diversi arrangiamenti: adattandosi al ritorno a casa da scuola di un Jiro sereno e sognante, con in mano la rivista di aeronautica grazie alla quale avrà il suo primo “incontro” col mitico Caproni; al viaggio del giovane e promettente ingegnere verso la grande città; al riposo montano del progettista ormai esperto dopo i tanti tentativi falliti; alla scoperta dell’amore. La complessiva pulizia e pacatezza dell’intervento musicale viene meno solamente in due occasioni: allorché Jiro, nascosto in casa del suo superiore per sfuggire alle indagini della polizia politica, viene informato dell’aggravarsi della situazione medica di Naoko, sua giovane promessa sposa, e si precipita al suo capezzale. E nella successiva scena, nella quale la donna, ricevuta la notizia che Jiro sta lavorando ad un nuovo ed impegnativo progetto, decide di lasciare il sanatorio nella quale si è ricoverata per stare vicino al marito, condannandosi così definitivamente. In entrambe queste sequenze Hisaishi non riesce ad evitare completamente il ricorso ad alcuni stereotipi cinemusicali, come l’uso dell’ostinato ritmico agli archi con funzione tensiva o la pausa dell’orchestra sincronizzata con l’abbraccio fra i due sposi nell’affollata stazione di Tokyo. Effetti che ben poco aggiungono all’esplicita drammaticità delle scene.
Come già accennato però, i risultati espressivi più alti raggiunti dalla dimensione sonora di quest’opera sono da ricercarsi nella componente non musicale, e specificamente nel corredo rumoristico. Due esempi sono particolarmente significativi.
Il primo e più evidente riguarda la sonorizzazione dei rumori degli aerei e dei treni, affidata unicamente alla voce umana. Che si tratti del borbottio del piccolo aereo di legno e stoffa pilotato dal giovane Jiro nel suo primo sogno, dell’urlo ascendente e vittorioso del motore del Mitsubishi A5M (il primo successo professionale del protagonista, e il progenitore del Mitsubishi A6M, il mitico caccia "Zero"), o del suono terrificante dei rottami di un bombardiere esploso in volo che cadono nella neve, in uno dei suoi tanti sogni, il ricorso alla voce umana dona vita e personalità a queste macchine. Al di là dell’assoluta originalità di questa scelta tecnica, ciò che è interessante notare è il suo significato. In effetti proprio l’immagine dell’aeroplano, così presente in tanti lavori di Miyazaki, fa da perno, da anello di congiunzione, fra la realtà onirica del sogno "condiviso" di Jiro e Caproni, e la realtà con cui il giovane uomo è chiamato a confrontarsi. Da un lato il sogno dell’evoluzione, della possibilità dell’ingegno umano di regalare bellezza e giustizia a sè stesso, e dunque al mondo intero (le "magnifiche sorti e progressive", commenterebbe ironico Leopardi), che prende le sembianze di questi aerei dalle forme fantastiche (tutti peraltro mutuati da prototipi che vennero realmente ralizzati fra gli anni ’10 e ’30 del secolo scorso), dotati, mediante il suono vocale, di personalità, di umanità. Dall’altro la triste realtà, che trasforma i sogni e le aspirazioni di Jiro in fredda professionalità e dedizione al lavoro, e le sue creature in macchine da guerra, in strumenti che in tutto e per tutto distruggono l’umanità e la sua aspirazione al giusto e al bello. Ovviamente sogno e realtà si compenetrano, anche se è sempre chiara la loro distinzione nello svolgersi della narrazione. L’unico elemento comune ad entrambi gli universi è la voce terribilmente umana degli aerei, e non è un caso che, con le dovute eccezioni, dal punto di vista tecnico ben poco della resa sonora di questi onnipresenti "personaggi" sia attribuibile al trattamento sintetico, all’informatica musicale, che del resto è quasi del tutto assente anche dalla musica.
C’è poi un secondo elemento sonoro che gioca un ruolo centrale in questo film, incaricandosi di esprimere ciò che né l’immagine né la parola potrebbero dire. Si tratta del suono del vento.
Nonostante una certa logica didascalico-descrittiva (esso è quasi sempre associato alle scene in esterno), del resto ineliminabile a meno di non perpetrare una macroscopica deroga al principio di verosimiglianza, la presenza del vento è pervasiva, e la sua consistenza è tale da rendere chiaramente percettibile il suo valore metaforico.
Così come il vento cambia continuamente le forme del paesaggio che ci circonda, il sogno modella il reale, ed il reale modella il sogno.
Il vento di Miyazaki, che trasporta le nuvole, gli aerei e i desidere dell’uomo, che si insinua in ogni silenzio e gonfia le sterminate praterie dei sogni di Jiro e Caproni, i campi d’aviazione, la campagna giapponese, le strade cupe di Dessau, altro non è se non il fluire del tempo, il lento, inarrestabile ed oggi quantomai agognato evolversi della vita, e dunque dell’esistenza umana. Da un lato la sua forza irresistibile schiaccia l’uomo sulla superficie del mondo, mostrandone la debolezza, la fallibilità. Dall’altro proprio il suo essere inarrestabile esprime un messaggio positivo: la fede profonda nell’idea che tutto sia in perenne cambiamento.
Il suono del vento e l’utilizzo "rumoristico" della voce umana trovano il loro punto di massima sinergia e di più intenso significato espressivo nella scena del terremoto. In questo caso i due elementi fungono da protagonisti sonori, mentre in termini di analisi narrativa è facile notare come ben poche delle azioni visibili abbiano un proprio corredo sonoro. Nonostante i diversi piani dedicati alla folla urlante non si ode alcuna voce in sottofondo, e molti dei movimenti scomposti dei personaggi terrorizzati sono ugualmente silenziosi (l’eccezione consiste nel rumore prodotto dai bagagli dei passeggeri, frettolosamente sbarcati, il quale però si fonde col gorgoglio del terremoto che sfuma). Si tratta di un artificio piuttosto frequente: eliminando una buona parte dei fenomeni di concomitanza audiovisiva si produce un senso di scollamento fra il mostrato e l’udito, il che provoca disorientamento nello spettatore e lascia lo spazio per la penetrazione di atmosfere ed emozioni che l’immagine di per sé non esprime. Questa prassi, che può essere considerata come una sorta di zoom sonoro, ha in questo caso l’indubbia conseguenza di aumentare il senso di angoscia di tutta la lunga sequenza, che vede Jiro aiutare la piccola Naoko e la sua domestica ferita, e poi correre a dare una mano ai suoi colleghi universitari nella battaglia contro l’incendio causato dal terremoto.
E’ da notare come anche la totale mancanza di commento musicale, se si eccettua il breve sguardo che Jiro e Naoko si scambiano mentre questa viene accolta dalla sua famiglia, contribuisca ad aumentare il vuoto sonoro dell’intero passaggio. Un vuoto che, come si è detto, viene interamente riempito dal suono del vento, dai ruggiti delle scosse di assestamento e delle fiamme che avvolgono via via ogni cosa. Il silenzio tornerà padrone della scena solo alla fine, quando Jiro, ordinatamente in fila insieme ad altri sopravvissuti davanti ad una derelitta fontana, si sciacqua la faccia, contornato da un paesaggio devastato, chiaramente riecheggiante i postumi dell’attacco atomico statunitense del ’45.
L’essenzialità e l’asciuttezza di questo passaggio non testimoniano solamente della profonda sensibilità con cui Miyazaki tratta la dimensione sonora della sua opera, ma costituisce una sorta di manifesto etico-estetico, certamente legato ad alcune caratteristiche precipue della cultura orientale, e segnatamente nipponica, ma perfettamente fruibile per qualunque spettatore. Si tratta del segno di un’onestà intellettuale che dovrebbe fare, e che si spera faccia scuola: la voglia di emozionare senza 4ricorrere al sensazionalismo e alla mistificazione.
In conclusione ciò che maggiormente colpisce di questa pellicola è il senso di profonda umanità, trasmesso coerentemente dal disegno tanto quanto dalla dimensione sonora. Per dirla con Eldon Tyrell: più umano dell’umano.
Tracklist
1. Tabiji (Muchuu Hikou)
2. Nagare Boshi
3. Caproni (Sekkeika No Yume)
4. Tabiji (Ketsui)
5. Naoko (Deai)
6. Hinan
7. OnJin
8. Caproni (Maboroshi No Kyodaiki)
9. Tokimeki
10. TABIJI (Imouto)
11. TABIJI (Hatsu Shussha)
12. Hayabusa Han
13. Hayabusa
14. Junkers
15. Tabiji (Italia No Kaze)
16. Tabiji (Caproni No Intai)
17. Tabiji (Karuizawa No Deai)
18. Naoko (unmei)
19. Naoko (Niji)
20. Castorp (Ma No Yama)
21. Kaze
22. Kami Hikouki
23. Naoko (Proporre)
24. Hachishi Tokutei
25. Castorp (Wakare)
26. Naoko (Aitakute)
27. Naoko (Meguriai)
28. Tabiji (Kekkon)
29. Naoko (Manazashi)
30. Tabiji (Wakare)
31. Tabiji (Yume No Oukoku)
32. Hikoukigumo