E’ da pochi minuti, nel momento in cui sono qui, ora, nella sala stampa veneziana circondato da colleghi, che è arrivata la notizia del ritiro di Hayao Miyazaki, e non è facile continuare a scrivere The Wind Rises come se nulla fosse. Devo cancellare le poche righe già scritte, suonano all’improvviso false, troppo manierate e calcolate rispetto al miscuglio di emotività scatenato in questo momento. Vien voglia, come sempre, di scrivere per dare una forma ed elaborare il mio stesso pensiero, ma non qui. Per la prima volta da quando sono a Venezia vorrei essere alla mia scrivania, solo nella stanza chiusa a scrivere sotto la locandina di Nausicaa incorniciata e appesa alla parete. E’ un irrazionale bisogno di intimità, che va però di pari passo con la necessità bruciante di gettare queste righe. Il compromesso va trovato, l’articolo va scritto, ma soprattutto l’addio va elaborato. Proviamoci.
Chiunque ieri sera abbia assistito e sia entrato in sintonia con The Wind Rises avrà percepito una sottile anticipazione di quanto avvenuto oggi; è come una filigrana, sottile in alcuni punti ma palesemente spessa in determinati passaggi, un presentimento acuto, evidentemente giustificato. The Wind Rises era idealmente un film testamentario ieri sera, lo è di nome e di fatto questo pomeriggio. E’ l’apice di una carriera, il terreno in cui il fantastico onirico e pacifista incontra il racconto dell’ossessione del sogno, della tensione al volo e al cielo, osmosi di marche autoriali incorniciate da una storia d’amore di inedita potenza e bellezza e slancio melodrammatico. The Wind Rises è un capolavoro commovente in cui Miyazaki riflettendo sulla fine di un percorso creativo, sul suo lascito, riesce a far incontrare il classicismo cinematografico giapponese con quello hollywoodiano più genuino e palpitante. Quadri domestici si alternano a baci improvvisi che esplodono nel mezzo di un prato assolato, amanti si abbracciano alla stazione mentre il treno sta per partire, avvolti da lunghi impermeabili che svolazzano tra il vapore.
Dispiace che proprio quest’ultimo lavoro sia stato accolto in patria da tante polemiche. Pur romanzata, la storia dell’ingegnere Jir? Horikoshi tocca evidentemente dei nervi scoperti, tanto da attirare su di sé critiche sia di destra che da sinistra, una dinamica su cui non vale assolutamente la pena soffermarsi tranne che per sottolineare invece l’incredibile livello di maturità umana messa in campo da Miyazaki, che dedica letteralmente l’opera a Horikoshi in un perdono figlio di una pura immedesimazione umanista. Il finale di The Wind Rises è per questo forse il punto più bello di quanto fatto da Miyazaki in tutta la sua carriera, quell’ultimo sogno in cui l’amarezza personale di Horikoshi si sovrappone a quella del Giappone tutto, un paese gettato nell’orrore della guerra da una generazione di padri storicamente ripudiata e qui in qualche modo recuperata da Miyazaki, contestualizzata in quel momento storico di crisi in cui ognuno si sentiva chiamato a collaborare alle sorti del paese. Ma soprattutto è al sogno che guarda Miyazaki; ingegnere intento a creare l’aereo perfetto per volare più in alto del cielo, Jir? vive una doppia tensione al volo e alla creazione artistica che lo rende praticamente un alter-ego del regista. Progettare, creare arte, creare cinema e sognare diventano un’unica tensione, più forte dell’amore e forse anche della morale; è questa doppia valenza che rende The Wind Rises un effettivo capolavoro, la sua totale assenza di assertività a favore di una comprensione e identificazione piena di dubbi, nella quale Miyazaki conosce e supporta e perdona in qualche modo Jir?, pur rendendone palesi però le responsabilità e l’estraneità dalle conseguenze del proprio creare. E’ davvero come il volo di un Icaro inconsapevole, lo slancio ingenuo ma carico di terribili conseguenze, cui Miyazaki con un livello di umanità straordinario finalmente si riappacifica, pur con amarezza e dolenza, pur solo in sogno. E’ per questo che il celebre pacifismo del regista è qui più che confermato, non solo ribadito ma rilanciato con una carica umana immensa.
Attento come mai prima d’ora ad una resa impressionista del reale, con The Wind Rises Miyazaki porta la Ghibli su un terreno inedito fatto di scorci pittorici straordinari, una bellezza che si fa aperta poesia nella sezione ruotante attorno alla taverna in cui Jir? reincontra la ragazza salvata e già amata anni prima. Riuniti dal caso i due avranno finalmente lì l’occasione di cogliere un amore seminato tanto tempo prima, un rapporto schiacciato tra la malattia di lei, tubercolosi, e il sogno di lui, ma nonostante questo vivo e meraviglioso, vissuto giorno per giorno come e dove possibile. Una dimensione apertamente melodrammatica inedita per Miyazaki, ma della quale si mostra comunque grande plasmatore e narratore. Una ragione in più per sentirne la forte mancanza d’ora in poi, una ragione in più per guardare a The Wind Rises come ad un incontro tra sogno, cinema e amore, racconto onirico e pacifista ma soprattutto umanista, amaro ma serenamente lucido, come il migliore dei perdoni. The Wind Rises è un film meraviglioso, e no Hayao, la tua carriera artistica è durata ben più di dieci anni, ma non un giorno di troppo.