Quando c'era Marnie
Con una storia tenera e intensa, l'ultimo film di Hiromasa Yonebayashi con lo Studio Ghibli non tradisce l'eredità del maestro Miyazaki
L’uscita nelle sale italiane di Quando c’era Marnie è già di per sé un evento imperdibile per gli appassionati di cinema, perché potrebbe rappresentare l’opera finale prodotta dallo Studio Ghibli: tra il ritiro del maestro Miyazaki con Si alza il vento e il flop (inspiegabile) del bellissimo anime di Isao Takahata La storia della principessa splendente, il futuro dello studio cinematografico giapponese, tra illazioni e abbandoni, sembra se non incerto, sicuramente avviato su un nuovo percorso.
Il film di Hiromasa Yonebayashi , che ha poi da poco lasciato lui stesso lo studio, non dovrebbe allora esimersi dall’essere giudicato come un lavoro di sintesi necessariamente in rapporto con i due nomi e i relativi ultimi due capolavori sopra citati; ma volendo dimenticare momentaneamente il contesto storico della sua produzione, Quando c’era Marnie si rivela opera indipendente e completa, che più che risultare perdente dall’accostamento dei due maestri giapponesi, dimostra invece di contenere in sé lo spirito fondamentale dello Studio.
Anna è un’orfana dallo spirito spezzato. Incapace di rispondere all’affetto dell’iperprotettiva madre adottiva, e annichilita da un grave disgusto verso se stessa, si percepisce come un’estranea in mezzo ai suoi coetanei. Così facendo scava dentro di sé un buco sempre più profondo, fatto di solitudine e amarezza, che la tiene costantemente lontana da ogni reale contatto umano. Dopo una drammatica crisi d’asma la madre decide di mandarla in vacanza da dei parenti, in un villaggio attraversato dal mare, per permetterle di riprendersi; ed è qui che Anna nota una misteriosa villa, grandiosa quanto fatiscente, da cui però per un attimo le sembra di intravedere in una finestra una fanciulla bionda. Affascinata da quell’apparizione, la ragazzina continua a tornare nei dintorni della casa abbandonata, che a tratti però – scherzi della sua fantasia? - si illumina come risvegliata dai suoi misteriosi abitanti. Ma una sera, finalmente, la bellissima e malinconica fanciulla bionda si rivela: si chiama Marnie, vive nella villa con la severa istitutrice, circondata da un nugolo di servitori, ma è sempre sola perché i ricchi e brillanti genitori sono sempre via. Le duplici solitudini delle due ragazze coincidono a tal punto che entrambe stringono subito una profondissima amicizia, ma durante il giorno la villa continua ad apparire sempre abbandonata, per cui, chi è Marnie, e soprattutto, esiste davvero?
Oltre la sua rete di misteri e suggestioni fantastiche, Quando c’era Marnie arriva al cuore del pubblico perché tocca quel particolare momento dell’infanzia in cui l’amicizia riesce a fare le veci del futuro amore adulto: più che semplice condivisione di giochi e parole, questo rappresenta il primo sentimento di attaccamento provato al di fuori della sfera familiare. Come l’amore, sa essere potente ed esclusiva. Marnie e Anna si amano in maniera tanto innocente quanto estrema, tanto più che la loro unione viene ad lenire una solitudine che, in mancanza di una consapevolezza matura che riesca a contenerla, può anche finire per dilaniare il cuore di un bambino. Il film di Hiromasa Yonebayashi, basato su un celebre romanzo per ragazzi, è dunque un racconto propriamente infantile perché indaga temi dell’infanzia con una semplicità che però non va scambiata per leggerezza. Il mondo qui narrato è attraversato da punte assolute di dolore e felicità, ed imparare a colmare la propria malinconia è la prima lezione fondamentale per una ragazza che voglia saper affrontare le sofferenze dell’esistenza; e lo splendido sfondo animato, che punteggia la gioia delle due protagoniste di essere assieme, amplifica l’intensità delle emozioni di una storia molto più adulta di quanto il soggetto potrebbe far pensare.
L’avvenire dello Studio Ghibli, privato del suo maestro Miyazaki, sembrava con Hiromasa Yonebayashi rassicurare sulle potenzialità dei suoi successori: lo spirito visionario, e la sensibilità del racconto appaiono in Quando c’era Marnie integri, pur espressi in forme diverse, perché ancora capaci di nutrire lo spirito dello spettatore. Ora che però anche il regista giapponese ha dato forfait, rimane solo la speranza di non veder tali qualità andare perdute.