The Poughkeepsie Tapes
Nasce Cose Preziose, un nuovo sguardo sul cinema di genere. Si apre con The Poughkeepsie Tapes, inquietante mockumentary firmato da John Erick Dowdle
The Poughkeepsie Tapes (2007), è film dalla storia travagliata: dopo essere stato presentato al Tribeca Film Festival, seppur fosse già stata pianificata l’uscita cinematografica, essa non avvenne mai, e lo stesso accadde per la distribuzione home-video. L’opera ha visto ufficialmente la luce solo lo scorso mese di Luglio, grazie alla distribuzione in VOD (Video On Demand) attraverso il canale DirecTV; in realtà, nel corso di questi sette anni, The Poughkeepsie Tapes è stato diffuso in modo sotterraneo, in primis tramite peer2peer. Un indubbio danno economico dal punto di vista produttivo, ma al tempo stesso un vantaggio, in quanto il passaparola via web ha donato al film un’aura di culto.
Found footage e mockumentary sono generi ormai quasi indigesti alla maggioranza degli appassionati d’horror: sono trascorsi ormai quindici anni dal 1999, anno in cui The Blair Witch Project inaugurò la mania di questa tipologia cinematografica in cui il falso è travestito da cinema verità, con esiti assai discontinui e un’indubbia saturazione del mercato. Inutile ricordare che in realtà il “finto documentario” nasce parecchi anni prima, nel 1980, con Cannibal Holocaust di Ruggero Deodato, che anticipò non solo tecnica e tematiche ma anche la trovata di marketing di far credere che tutto fosse accaduto per davvero.
In questa tipologia di film, e in special modo nei prodotti più recenti (Paranormal Activity, per citare il più celebre), spesso si punta a far apparire l’improbabile come probabile, il paranormale come reale, e ancora più di frequente si ricorre a tematiche ambigue (come la possessione demoniaca) in modo da aumentare l’effetto spaventevole rendendo credibile ciò che è da sempre oggetto di dubbio.
Il film di John Erick Dowdle, che lavora in team col fratello Drew (John Erick dirige, Drew co/sceneggia e co/produce) e di cui è appena uscito in sala Necropolis - La città dei morti, gioca invece su meccanismi completamente diversi: prende una vicenda di stampo realistico, ossia la vita di un efferato serial killer i cui crimini vengono ricostruiti (e mostrati) tramite una serie di videocassette ritrovate dall’FBI nella sua abitazione, e la rende ancora più veristica e cruda, alternando il p.o.v. dell’assassino alle riprese in terza persona e al taglio tipico del mockumentary, con finte interviste e reportage televisivi.
Cosa permette a The Poughkeepsie Tapes, prodotto relativamente piccolo in una miriade di pellicole similari, di collocarsi una spanna sopra alle altre? In primis, l’utilizzo astuto del p.o.v dell’omicida, che induce una sorta di colpevole identificazione nello spettatore, un voyeurismo spinto all’estremo, ad esempio nelle sequenze di avvicinamento a vittime bambine, in cui il non-mostrato risulta oltremodo disturbante poiché lasciato all’immaginazione. Questo tipo di ripresa si alterna a quelle in terza persona in cui vediamo il killer all’opera: in questo modo, scatta l’immedesimazione con la vittima. Dowdle gioca con le corde emotive dello spettatore, gli induce sofferenza, rabbia, pietà, un misto di emozioni forti che risulta assolutamente spiazzante. I quasi 90 minuti di film sono a tratti sconvolgenti, soprattutto riguardo al personaggio di Cheryl Dempsey (Stacy Chbosky), tenuta prigioniera (o per meglio dire schiava, in puro stile bsdm) per otto anni, finendo in preda alla Sindrome di Stoccolma, che la legherà inesorabilmente al suo carnefice.
Il regista gioca come il gatto col topo, così come l’assassino fa con le sue vittime: un gioco lento, che crea un senso di tensione continuo. A contrastare l’estremo realismo delle immagini, vi è un’iperbolizzazione della figura del “The Water Street Butcher”, nel mostrarlo come estremamente abile, capace di cambiare modus operandi da un giorno all’altro e del quale vengono stilati due profili in assoluto contrasto tra loro, in barba a ogni teoria criminologica e mettendo alla berlina FBI e corpo di polizia, dunque con un coté sovversivo che risulta efficace e di forte impatto. The Poughkeepsie Tapes , è “ritratto di un serial killer perfetto”, infallibile, teatrale e profondamente sadico; senza tentare paralleli fuori luogo col capolavoro di McNaughton, Henry Pioggia di Sangue (1986), ne risulta un “portrait” antitetico a quello di Henry, che era davvero iper-realistico e crudo senza mezzi termini.
Dal punto di vista tecnico, il filtro della resa in vhs, dunque con immagine traballante e sporca, se da un lato aumenta il senso di disagio dall’altro crea una maggior distanza rispetto a ciò che vediamo, una sorta di “barriera di sicurezza” che ci ricorda che è soltanto un film. Ma Dowdle gioca di contrasti, e le immagini riprese in soggettiva tramite la videocamera dell’assassino abbattono il muro, facendo piombare lo spettatore direttamente nel diegetico, creando repulsione ma anche una sottile ebbrezza di onnipotenza, simile a quella che governa le menti malate di chi compie atti simili.
Il regista non ha purtroppo saputo mantenere le ottime promesse offerte da questo piccolo ma imperdibile film : i successivi Quarantena (Quarantine, 2008) e soprattutto Devil(2010), prodotto da M. Night Shyamalan, nonché il già citato Necropolis, si assestano su sponde mainstream e indubbiamente più sicure dal punto di vista dei botteghini, perdendo però la forza eversiva e disturbante che caratterizza questo mockumentary. Viene spontaneo domandarsi se The Poughkeepsie Tapesnon sia riuscito bene per errore, oppure se Dowdle riuscirà a ritrovare il guizzo di un tempo: il suo prossimo film, The Coup, in uscita nel 2015, è un thriller che nel cast annovera Pierce Brosnan e Owen Wilson, dunque con un forte appeal verso il grande pubblico. In ogni caso, anche se il regista si perderà per strada come pare stia accadendo, The Poughkeepsie Tapes resta un egregio esempio di p.o.v movie che non scende a compromessi, e tortura lo spettatore così come il butcher fa con le sue vittime. Da recuperare.