Pride

Divertente e toccante, Pride non manca di proporre una visione leggera ma efficace della lotta politica

Pride si inserisce nel filone cinematografico, ormai consolidato, dedito a narrare le vicende relative al famoso sciopero dei minatori inglesi tra il 1984 e il 1985: un anno di durissimi bracci di ferro fra i lavoratori e l’algido Primo Ministro Margaret Thatcher - che aveva promulgato la chiusura di venti miniere di carbone - amaramente concluso con la resa dopo 51 settimane di spossante resistenza. La linea di lettura del film di Matthew Warchus è però oltremodo originale pur nella sua totale veridicità di fondo, data la scelta di raccontare l’episodio finora inedito del sostegno della causa da parte di un’altra minoranza, quella fortemente stigmatizzata dei gay inglesi. A metà fra abile strategia politica e sincera empatia, un gruppo di omosessuali londinese, conscio della propria invisibilità sul piano sociale fonda i Lesbians and Gays Support The Miners (Gay e Lesbiche supportano i Minatori) e inizia una raccolta fondi a favore degli scioperanti in una minuscola comunità gallese, rivelandosi il gruppo di supporto più fruttuoso. Un incontro fra le parti diviene dunque necessario, malgrado le riserve degli abitanti della comunità rurale, conservatrice e bigotta, e costringe entrambi gli interlocutori a un superamento, talora anche arduo, dei propri pregiudizi. Come è facile immaginare, i paesani, modellati su un canone di virilità fortemente irrigidita, guardano con sospetto, se non con ostilità, i più liberi omosessuali, che d’altra canto rivedono nei minatori i beceri oppressori della propria giovinezza; superare la comune diffidenza non sarà facile.

La struttura narrativa di Pride è, in fin dei conti, davvero convenzionale: l’incontro/scontro fra due culture diverse, e l’esito esilarante che ne consegue. Nel trattare la tematica della rivendicazione omosessuale in un periodo teso come gli anni Ottanta, agli albori del dramma dell’Aids, sono presenti tutte le figure caratteristiche che è scontato incontrare in racconti del genere. C’è il leader carismatico - cui fa eco il rappresentante locale dei minatori – il giovane ragazzo che di nascosto dal proprio ambiente familiare compie tutto il percorso di emancipazione personale dalla paura di esporsi, l’anziana progressista e la compaesana puritana che si oppone all’arrivo dei nuovi compagni di lotta; sullo sfondo, la preziosa riflessione su quanto ogni causa civile non appartenga mai esclusivamente a chi ne è coinvolto, ma riguardi il diritto fondamentale alla dignità di ogni essere umano. Certo, così ben congegnato nella sua forma di commedia impegnata, il film rischiava di mancare di reale partecipazione, ma è proprio questo timore che vogliamo qui affrettarci a sciogliere: Pride commuove pur nella sua costruzione sistematica, perché infonde sincero sentimento ai suoi protagonisti, ed è davvero difficile non affezionarsi alle loro storie, dal momento che il regista evita di dividere i personaggi fra stereotipati buoni e cattivi preferendo soffermarsi sull’umanità complessa di ognuno di loro. Ed è allora che la rivendicazione di un comune diritto di libertà appare allo spettatore tanto ovvia quanto deve essere sembrata a coloro che in quel tempo scelsero di riconoscersi, oltre ogni differenza personale, medesime vittime di un sistema oppressivo. Nelle lacrime di chi risente dopo anni il dialetto del paese che si è dovuto abbandonare per la propria omosessualità, e nell’ostinata opposizione di una comunità a un governo che vuol negare il lavoro, è riconoscibile l’identica esigenza, imprescindibile, di essere riconosciuti cittadini con diritti e doveri dallo Stato. Lottare per qualcosa che è di tutti: la solidarietà in fondo, consiste solo in questo.

Autore: Veronica Vituzzi
Pubblicato il 08/12/2014

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