Giovane regista californiano – non ancora trentenne – Ryan Coogler esordisce nel 2013 con Prossima fermata – Fruitvale Station,apprezzato al Sundance Film Festival dove ha vinto il Grand Jury Prize e l’Audience Award for U.S. Dramatic Film. Il film si svolge nell’arco di una giornata, il trentuno dicembre del 2009: la macchina da presa segue passo passo la quotidianità del protagonista Oscar (interpretato da un bravo Michael B. Jordan, già visto in Chronicle), che trascorre il tempo con la compagna Sophina e la figlia, ma anche con sua madre, che festeggia il compleanno. Dopo una piacevole cena in famiglia Oscar mette a letto la bambina e decide di andare in centro con Sophina e gli amici, ma sulla via del ritorno il caso vuole che la sua strada si incroci con quella di un poliziotto esaltato e violento, che non si fa scrupoli a premere il dito sul grilletto non appena le cose si mettono male. La vicenda è tratta da un caso di cronaca, l’uccisone di Oscar Grant appunto – un ragazzo nero di soli ventidue anni – da parte della polizia, avvenuta in California il primo gennaio del 2009. Come a ribadire la verità dei fatti e l’intento di denuncia, il film ha uno stile minimalista e sporco che punta ad azzerare il senso di finzione/ricostruzione intrinseco del cinema per dichiarare, proprio attraverso la forma, l’autenticità del contenuto.
Fruitvale Station è una somma di attimi, di piccoli gesti che assumono una improvvisa, inaspettata importanza di fronte all’evento terribile della morte. Tutto ciò che Oscar fa si potenzia di significato in virtù della sua irripetibilità: un gioco divertente con la figlia, un discorso concitato con la compagna, un gesto d’affetto verso la madre. La volontà di redenzione del protagonista – che da piccolo spacciatore sfaccendato decide finalmente di rinunciare alla droga per crescere la figlia secondo altri e diversi principi – rende poi la vicenda quasi struggente, se si pensa che proprio in questo potenziale momento di trasformazione tutta positiva il ragazzo viene improvvisamente strappato alla vita con immotivata violenza. Il poliziotto che lo uccide infatti non ha scusanti per il suo gesto impulsivo e assurdo: Oscar viene suo malgrado coinvolto in una rissa nella metropolitana, e quando scende sulla banchina viene malmenato insieme ai suoi amici (di colore) da un gruppo di agenti prontamente chiamati, mentre l’uomo bianco che lo aveva aggredito all’interno del vagone si defila tra i passeggeri. Sebbene alterati per l’aggressività degli agenti, Oscar e i suoi amici non compiono di fatto nessuna azione che possa motivare il trattamento brutale che subiscono; quando poi il protagonista si trova a terra immobilizzato, quasi soffocato, parte il colpo che gli perfora i polmoni, uccidendolo. Il film mette bene in luce quanto la casualità degli eventi possa rivelarsi determinante in un mondo già in bilico, dove il razzismo è sempre presente e basta poco a tirar fuori l’aggressività latente in molte persone (l’atmosfera della notte di Capodanno, una pistola a disposizione); ma dietro tutto questo ci sono sempre, inutile dirlo, l’esaltazione e l’abuso di potere, dinamiche troppo spesso tollerare da un sistema sociale e politico (non sono americano ovviamente) che non funziona sempre correttamente.
Ottimo esordio alla regia per il regista Ryan Coogler, Fruitvale Station è un film conciso e quasi scarno, solido, trasparente, essenziale; un’opera che merita un apprezzamento particolare anzitutto per i temi scelti e per gli intenti che la muovono, e che fa della semplicità di mezzi una scelta necessaria eticamente e non sono esteticamente.