Resta anche domani

Un teen-drama che non brilla. Operazione deleteria a monte e scadente a valle.

Da diverso tempo non mi capitava di trovarmi in sala di fronte a un teen-drama. Quantomeno bizzarro dato l’interesse e la visibilità che le major companies, ma non di meno le produzioni e le distribuzioni indipendenti, riservano a prodotti filmici target-focused come questi. Lo spazio destinato loro nelle sale e nelle librerie sembra dare voce a un’istanza conservatrice eternamente volta ad accaparrarsi una fetta di quell’enorme torta che chiamiamo cultura, una fetta che oltretutto è stata già abbondantemente conquistata nel corso degli ultimi venticinque anni. Più che una ricerca di legittimazione è dunque, come dicevo poco sopra, perpetuazione dello status quo, sorretto da un pericoloso principio di autoconservazione.

Che alla radice di tale settorializzazione della cultura ci siano gli alti profitti facilmente pronosticabili per questo tipo di operazioni ci interessa relativamente, più preoccupante è il tentativo di omologazione che tali proposte culturali – con la c minuscola – cercano di instillare e attuare nel gruppo di riferimento a cui si rivolgono, in primis a livello di fruizione (filmica nel nostro caso), in secundis come domanda futura.

In più c’è il fatto, sul quale non c’è molto da soffermarsi, che nel migliore dei mondi possibili tali ingenti investimenti destinati a queste operazioni probabilmente sarebbero stati spesi in favore di opere diverse, più coraggiose e più interessanti a livello di attivazione spettatoriale. Opere destinate invece a riempire cassetti e cestini di editori e produttori cinematografici.

Resta anche domani (If I stay) di R.J. Cutler risponde senza dubbio più al primo che al secondo tipo di operazione. Trasposizione cinematografica del best seller di Gayle Forman, Resta anche domani porta tutto il sapore di qualcosa di già visto, e non poche volte.

Mia Hall (Chloe Grace Moretz) è una studentessa di violoncello che aspira a proseguire gli studi in una delle scuole d’arte più selettive d’America: la Juilliard. Camminando per i corridoi di scuola Adam (Jamie Blackley), “rocker” bello e “ribelle”, sente il suono del violoncello che la ragazza sta suonando in sala prove, e ne rimane subito folgorato.

I soliti vecchi strumenti del mestiere del teen movie sono sul tavolo, non può che iniziare una traballante storia d’amore. Manca solo un pizzico di facile dramma per palati poco fini: un po’ di conflitto tra i due innamorati destinati a separasi e un incidente stradale mortale in cui si decidono le sorti di Mia e della sua famiglia da mulino bianco.

Ed è proprio questo incidente a dare un minimo di respiro a una storia che di base mostra fin troppo evidentemente la propria inconsistenza. La narrazione si divide e imbocca due strade parallele: da un lato le analessi della relazione tra i due ragazzi, segnata dai tour dell’aspirante rocker e dall’esaltante audizione della giovane protagonista alla Juilliard; dall’altro le travagliate ore del ricovero in urgenza di Mia in stato di coma, con la semplicistica trovata/riproposizione della scissione tra corpo e anima. La seconda strada è più riuscita della prima – a livello di impianto visivo e di ritmo – ma non meno retorica.

Tutte le lacune di una scrittura banale, sempre dentro le linee, emergono in ogni sequenza di Resta anche domani che pecca a monte di un eccessivo strizzare d’occhio al target di riferimento.

Un’operazione, questa, i cui mezzi si definiscono non tanto come creativi, ma come pubblicitari, finalizzati a veicolare e al tempo stesso assecondare i gusti del consumatore finale. Cullare e assecondare invece di spiazzare. Che questo veicolare e assecondare lo spettatore di riferimento sia portato avanti da vicende sì sentimentali, ma anche innervate da un alto tasso di drammaticità esistenziale, poco importa. L’operazione è deleteria a monte, scadente a valle.

Autore: Paolo Scire
Pubblicato il 15/09/2014

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