Un inizio ed una fine. Tutto ha sempre un inizio ed una fine. Un giorno – ad esempio – ha un inizio ed una fine. Anche una partita di calcio ha un inizio ed una fine. Oppure un film, una linea, la vita stessa. In questa derivazione scientifica Lavoisier insegna, e difficile sarebbe metterlo da parte. Insegna di come forse nulla sia arte, ma scienza, sapere e ricerca. E la ricerca è anche un ciclo, una circonvenzione culturale, critica, filosofica che prematuramente o meno schiude per pochi istanti ancora gli occhi. Ma non per sempre. Forse.
Quanti forse, quanti dubbi, quante incertezze… c’est la vie!
Dal punk con un twist siamo passati attraverso la mistica, cruenta quanto sanguinolenta, atroce, feroce, splatter! Pochi passi ancora ci portano ad una Resurrection In Blood, titolo che ricorderà i nordici Runemagick ma in realtà ci riporta al nostro toscanissimo Lorenzo Lepori che così firma un suo film di tre anni fa, dalle tematiche non nuove e con facce note.
Protagonista della nostra storia è un feroce e spietato capo di una non meglio definita banda criminale, che ama indossare camice psichedeliche e vestiti sgargianti. Aiutato da perfide arti magiche per via di quella strega di sua moglie perde il senno alla morte di quest’ultima. Nel vano tentativo di reincarnare la moglie, attraverso mille peripezie, sangue, corpi, lame, fellatio, masochismi e affini, coadiuvato dal figlio porterà in rovina il suo “impero”.
Come i precedenti e i futuri film realizzati dal nostro ormai sodale (incontrato già per Cinque cerchi roventi, Il vangelo secondo Taddeo e I Love You Like a Twist), ci ritroviamo a calpestare un’opera realizzata senza alcuna logica professionale, industriale, e razionale. Ancor più sconnesso questa volta nella trama, eccessivamente ossessionato a oralità varie. Il filo si spezza, e Lepori non fa che perdersi nell’immenso labirintiaco explotativo. Probabilmente anche causa di queste sue “incertezze” che è nelle intenzioni del regista una riedizione, con annesso rimontaggio, del film con il titolo Resurrezione di cuori, ma del quale ancora non giungono nuove.
Arrivare a delle conclusioni, esprimere delle considerazioni in merito, più di quanto non sia stato già fatto nei precedenti appuntamenti è sempre difficile. Certo è che il buon Lepori, a dimostrazione del suo impegno, della sua dedizione, della sua passione, continua ad avere un certo seguito in particolare nello sterminato mondo della tripla “w”. Fa piacere constatare come il tutto non si limiti al virtuale, ma sporadicamente vengano anche organizzate alcune retrospettive delle sue opere, magari in minuscoli cineclub (come all’Alphaville di Roma).
Il nostro non è un censimento dei consensi, tanto meno delle beltà di questo nostro mesto Paese. Il nostro è uno spazio, è un limbo per niente maledetto ma sicuramente con una tendenza all’oblio nel quale libertà sposa amore e passione. Tre parole, entità astratte che si fondono in un unisono perverso di visione, visioni. Cecità, sempre e comunque, l’utopia e la direzione che questo spazio bianco empio di parole ci conforta e ci rilassa.