A Classic Horror Story
A Classic Horror Story, oltre la riflessione sul genere. Disponibile su Netflix.
“Ma perché nessuno lo dice? Questo è proprio il classico film dell’orrore” dice Fabrizio - il disagiato, il coglione - mentre sta per accadere il peggio. E noi lo sappiamo. Sappiamo già dal titolo che il film di Strippoli e De Feo (uscito per Netflix) ci porta verso una storia da classico film dell’orrore, appunto. Un gruppo di persone viaggia in camper verso il Sud Italia, un incidente, una casa misteriosa e l’inizio della mattanza. La final girl, nel corpo di Matilda Lutz (già splendido angelo della vendetta in Revenge di Coralie Fargéat), si ritroverà ad affrontare tutto quello che ci aspettiamo, tra folklore e allegorie sociali, il film fagocita il genere e lo ributta fuori in un ammiccamento a storia e contemporaneità dell’horror.
Può essere visto e guardato in diversi modi A Classic Horror Story: ci si può lasciare trasportare semplicemente dagli eventi e quindi empatizzare con la protagonista affinché possa salvarsi dalle grinfie di un mostro invisibile e forse un mostro fantoccio così come Shyamalan nel suo meraviglioso The Village ci raccontava il cinema. Ci si può divertire indovinando e scovando le molte citazioni che fanno del viaggio del gruppo, un viaggio nella storia del genere: da Sam Raimi a The Wickerman, fino a Kill List di Ben Weathley, alla palese tavolata del luminoso horror Midsommar, ma ce ne sarebbero davvero tanti da citare. E ovviamente il maestro Wes Craven, come sempre.
Poi c’è un ulteriore livello attraverso il quale guardare questo film, un livello più intimo. Quello che segue la protagonista nel suo percorso verso la maternità: Elisa è rimasta incinta, ha appena iniziato a lavorare per un importante studio e sua madre la spinge ad abortire per concentrarsi sulla carriera. Ma cosa vuole davvero Elisa? Oltre al ribaltamento e alla metariflessione, uno dei nodi interessanti di questo film sta proprio nell’affrontare e accettare il desiderio di maternità, in un mondo lavorista (“Ho studiato alla Bocconi” dice la protagonista) che spinge all’eccellenza della carriera, De Feo e Strippoli immergono Matilda Lutz nell’ancestrale sud, il sud delle leggende e dei riti ma anche della corruzione e dell’omertà. Ora il vecchio incontra il nuovo, la vita performativa del mondo neo-liberista è lontano da quella casa forse utero, dove Elisa deve affrontare demoni lontani e radicati. La storia dell’horror classico deve per forza incontrare e mescolarsi con il contemporaneo e l’horror più di tutti gli altri genere non fa che ripetere sé stesso e guardarsi allo specchio. Una Calabria (in realtà girato nella foresta umbra) verdeggiante e rigogliosa lontana dal paesaggio arido di Tobe Hooper o da quelle colline del deserto del Mojave, eppure i mostri si somigliano tutti.
Siamo sempre in un film, d’altronde e anche i protagonisti sembrano saperlo bene.
Ma quest’ultima lettura non deve essere vista in chiave reazionaria o retorica della classica contrapposizione tra vecchio e nuovo. Elisa forse vuole abbracciare la sua maternità e non è interessata a quella carriera, a quel lavoro prestigioso. L’immersione nella surreale e ancestrale dimensione, di orrore e violenza, riporta alla luce un desiderio legittimo e una scelta consapevole di una donna, tra corpo e mente.