Che fare quando il mondo è in fiamme?
Chiusa la "trilogia del Texas" Roberto Minervini riparte dai margini profondi degli Stati Uniti cercando momenti di vita, lotta e sofferenza in nuovi corpi, nuove narrazioni.
Nei margini profondi degli Stati Uniti, Roberto Minervini torna a raccontare una realtà differente e, dopo aver folgorato Cannes con Stop the Pounding Heart e Louisiana (The other side), il regista marchigiano arriva in Concorso a Venezia 75 con Che fare quando il mondo è in fiamme?
L’altra faccia dell’America che non smette di soffrire e lottare.
Siamo tra Baton Rouge e Jackson, ancora una volta in Louisiana, dove la maggior parte della popolazione è nera ma nulla impedisce ai bianchi di perpetrare razzismo e odio, mentre le vite fragili e sgretolate di Jenny Hill o dei piccoli Roland e Titus sono accomunate dalla paura costante e da una forte voglia di aggrapparsi alla speranza. Non c’è un inizio e una fine in queste storie che Minervini sceglie di seguire: il flusso di frammenti del presente, momenti intimi, ricordi e il timore di un futuro mai così incerto, sono solo un breve estratto che ci fa intuire qualcosa di più profondo. Un nuovo nucleo di Black Panthers guidato da Krystal Muhammad urla giustizia per Aldo Sterling e Philando Castile, due afroamericani uccisi nel 2016 da poliziotti, episodi che fecero molto discutere e animarono diversi momenti di protesta. La scelta di un bianco e nero raffinato attenua i toni delle tragedie quotidiane, i personaggi che Minervini ci racconta, come la magnetica Jenny e la sua straziante storia di un’infanzia e una giovinezza tra abusi e dipendenze, si pongono come testimonianze reali di un universo di sofferenza che forse cerca solo normalità. Titus e suo fratello devono ogni giorno fare i conti con situazioni pericolose, ovunque, per strada, a scuola, tra gli amici, mentre la madre cerca di indirizzarli verso una strada differente. Differente per quei luoghi, dove il destino sembra segnato per tutti. Il marchio è la razza, il colore della pelle, si cresce con la parola razzismo ben impressa.
Minervini sembra rubare momenti di quotidianità lasciando liberi i suoi personaggi di presentarsi e rappresentarsi. Ma il filtro di un obiettivo addosso è una questione sempre così viva. Jenny di fronte alla camera rappresenta la sua personale tragedia, diventando un’eroina, con i suoi segni e le sue cicatrici, catturata da un occhio che non può essere invisibile e che ci porta a dover riempire di significato le parole di chi vuole solo uscire da quelle gabbie. Filmare il reale non significa necessariamente non ricostruire, il film di Minervini guarda e rappresenta cercando di creare un’apertura verso una riflessione che parte dall’osservazione. I corpi che mettono in scena loro stessi costituiscono già una narrazione.
Se Stop the Pounding Heart ci portava in un mondo perduto, intimo e lontano, Che fare quando il mondo è in fiamme? resta nel nostro di mondo, cercando, ancora una volta, di non imporre nessuno sguardo ma operando per suggerimenti e andando oltre la superficie dell’immagine. Spegnere quelle fiamme per poi rinascere dalle ceneri.