Louisiana (The Other Side)

di Roberto Minervini

La resistenza alla miseria, amore e rabbia nell’altra faccia dell’America

Louisiana di Roberto Minervini

Conclusa la trilogia texana, Roberto Minervini si sposta in Louisiana su consiglio di uno dei protagonisti di Stop the Pounding Heart (2013), che gli indica un parente, la sua famiglia e la comunità in cui sono inseriti come possibile oggetto di un’eventuale e nuova indagine filmica.

Stavolta l’approccio è più descrittivo che narrativo, teso a documentare l’eterno ritorno delle abitudini dei personaggi piuttosto che una possibile evoluzione o un cambio di prospettiva. Ci troviamo nella pancia dell’America, quella determinante per il voto ma assai poco raccontata, in una zona che conta il 60% di disoccupazione, dunque dove la macchina da presa non può che riaccendersi sugli ultimi e sugli emarginati.

L’umanità poverissima della prima parte del film, diviso in due blocchi distinti e apparentemente scollegati, è quella di Mark e la sua cerchia di affetti e conoscenze che comprende tutte le generazioni possibili, dall’infanzia alla senilità. Si vive alla giornata, alcol, droghe e strip club sono all’ordine del giorno, l’uomo ha una compagna, Lisa, e Minervini ci porta dentro gli spazi aperti e chiusi delle loro esistenze, il Natale in famiglia passato davanti alla loro roulotte (si gela ma è l’unico luogo possibile per una tavolata più o meno imbandita), i barbecue, i lavori saltuari, le case dei parenti. The other side, questo il titolo originale dell’opera approdata a Cannes nel 2015 nella sezione “Un Certain Regard” documenta senza censura e giudizi l’altro lato dell’amore e della rabbia. Tutto, nelle vite precarie di Mark e soci, è in completo disfacimento, si tira a campare grazie ai proventi dello spaccio ma la sensazione che si ha, osservando in un silenzio ammutolito e quasi sacrale la sventura dei personaggi, è quella del legame profondissimo sia tra i due innamorati sia tra il protagonista e i suoi parenti, che egli aiuta come può e con qualsiasi mezzo. Il regista torna allora a raccontare la famiglia come unico appiglio cui aggrapparsi mentre fuori il mondo è, se non in fiamme, almeno dissolto irrimediabilmente. In un simile scenario, dove il contatto fisico, gli abbracci, l’importanza dei corpi e della carne prevalgono come un piacevole analgesico insieme alle metanfetamine, Mark spicca per la sua tenacia, per la volontà di resistere nonostante tutto e lo fa, oltre che da vero e proprio eroe tragico, da attore consumato: forse è per questo che Minervini seleziona tra le tantissime ore di girato le sequenze che più di tutte fanno sembrare Louisiana un film di finzione, con proposte di matrimonio, scene di sesso, lacrime e gesti e parole tanto cinematografiche quanto davvero difficili da digerire. Sono proprio queste ultime ad essere, spesso, cariche di rabbia verso Obama e più in generale contro un governo che ha dimenticato una periferia così lontana da essere ignorata. In questo senso, come ha ammesso il regista, in corso d’opera il documentario è diventato soprattutto politico, dando spazio al risentimento diffuso e sofferto di chi si è trovato tradito dalle promesse del sogno americano.

E la rabbia diffusa è anche il fil rouge che lega la prima alla seconda parte, talmente corta da sembrare un’appendice e che infatti è stata improvvisata sulla via del ritorno in Texas. Un gruppo di paramilitari, alcuni ex-soldati dell’esercito, si incontra periodicamente nei boschi per esercitarsi alla guerriglia contro una fantomatica legge marziale che il governo o l’Onu starebbero per imporre, un’invasione disconosciuta che metterebbe in pericolo le loro famiglie. Confusione ideologica, violenza, aggressività, cameratismo becero (il raduno sulle rive di un lago con birra a fiumi, gara per la miglior maglietta bagnata e fellatio con la maschera di Obama sembrano messe in scena da Harmony Korine) sono ripresi ancora con la stessa giusta distanza e la totale assenza di intervento, dopo aver conquistato anche in questo caso la massima fiducia dei soggetti ripresi, insinuandosi nuovamente tra loro, fissandone la commozione, i primi piani, la fratellanza e la tensione sospesa, tra proteggere e distruggere. Se nella prima parte si inveiva contro le istituzioni per aver perso la libertà di vivere dignitosamente, qui si rivendica la libertà di fare ciò che si vuole, a partire da quella di possedere un’arma.

Louisiana è così un dittico sulla miseria (economica, sociale, culturale) e sulle sue conseguenze, disseminato qua e là da squarci che qualsiasi altro regista avrebbe preferito celare e che invece Minervini e sua moglie, aiutati dal contributo fondamentale di Marie-Hélène Dozo, montatrice storica dei fratelli Dardenne, scelgono di mostrare e connettere in un discorso potente, viscerale, urgente e necessario. Chissà se è stata proprio la Dozo a scegliere come incipit una delle tante esercitazioni a caccia del nemico invisibile nella foresta (quindi, di fatto, un’anticipazione della breve seconda parte) e a intuire che l’esordio perfetto di Mark, fosse, subito dopo, presentarlo ancora addormentato sull’erba, nudo e indifeso come una preda.

Autore: Paolo Di Marcelli
Pubblicato il 06/11/2018
Italia, Francia
Durata: 92 minuti

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