Roma 2012 / Un enfant de toi

Frammenti di un discorso amoroso: Aya e Louis sono separati, hanno una bella bambina di sette anni che si chiama Lina e vivono entrambi nuove relazioni. Lei sta con Victor, uomo gentile e rassicurante, lui con una ragazza più giovane. Tutto sembra in qualche modo normale se non fosse che l’intesa tra i due ex è tutt’altro che smarrita. La prima sequenza vicino al fiume evidenzia tutto ciò facendoci comprendere sin dall’inizio come sarà proprio questo amore finito (?) a rappresentare l’asse portante della storia. Perché nonostante entrambi sembrino felici con i rispettivi compagni qualcosa li lega, come se il tempo e la sofferenza che la fine di una storia porta inevitabilmente con sé non abbiano minimamente scalfito i sentimenti che i due provano l’uno per l’altro. E allora incontri nascosti, triangoli, gelosie, improvvise accensioni passionali, lunghi scambi di battute. Il tutto attraverso lo sguardo perplesso della bambina che non riesce a comprendere il mondo degli adulti e il loro modo assurdo di viversi l’amore. Non a caso sarà proprio lei a coronare il definitivo riavvicinamento tra i suoi genitori, in una bella parte finale che imprime una scossa al film, fino a quel momento tutt’altro che ritmato.

Jacques Doillon sceglie di raccontare questa strana storia d’amore e di famiglia allargata adottando un punto di vista “neutro”, il più possibile imparziale ed equilibrato sulle cose. Filma estenuanti dialoghi cercando di cogliere tra le sfumature delle parole e delle espressioni corporee quei sentimenti che vi si celano dietro, riuscendo a catturare in alcuni momenti tutto il mistero che circonda l’amore. Aya e Louis si comportano come se non si fossero mai lasciati, la loro intesa e la forte attrazione sessuale che li lega va oltre quello che può essere il semplice sentimento di affetto per una persona cara con cui si è condiviso tanto e si è avuto una bambina. Un enfant de toi – presentato in Concorso – racconta in questo senso l’amore che ritorna pochi passi per volta fino al suo coronamento. Come già detto un ruolo fondamentale assume la bambina, che con i suoi comportamenti incide attivamente sul corso della narrazione. Non a caso il finale che vede i due ex di nuovo insieme è ambientato nell’albergo dove concepirono la figlia. Come una sorta di ritorno alla scena primaria, Lina sembra voler ristabilire le coordinate della propria, confusa, esistenza ripartendo dalle poche certezze che ha: ovvero dai suoi genitori e dal luogo che l’ha vista nascere.

Non tutto funziona nel film: i tempi soporiferi che il regista impone agli spettatori producono un leggero distacco dalla narrazione che in molti casi impedisce di potersi sinceramente emozionare davanti ad essa. Eppure alla fine si esce soddisfatti dalla visione: nonostante il cinema francese racconti spesso storie di questo tipo, il film di Doillon s’impone come un’opera necessaria e riuscita, perché capace, nei suoi passaggi migliori, di filmare il mondo misterioso e affascinante dei sentimenti senza mai ricorrere né al ricatto emotivo né tantomeno alle soluzioni più facili e immediate.

Autore: Giulio Casadei
Pubblicato il 22/01/2015

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