Roma 2015 / Registro di classe. Libro primo 1900 / 1960

Lavoro di montaggio in due atti che ripercorre l'istituzione scolastica nel novecento italiano, Amelio tende un filo rosso d'archivio arbitrario sulla libertà, tra uguaglianza e discriminazione

Gianni Amelio continua a tessere il suo fil rouge tra Storia e contemporaneità del nostro Paese, per ricordarci che ciò che oggi siamo è dovuto alle sconfitte o alle vittorie che dal passato ritornano come fondamenta del nostro presente. La realtà di oggi, sociale e politica, è una conseguenza della nostra Storia, così com’è stata raccontata la liberalizzazione sessuale e societaria dell’omosessualità oggi ipoteticamente raggiunta, contenuta nelle diciannove interviste più una – dagli anziani al giovane - nel suo precedente lavoro Felice chi è diverso, qui in Registro di Classe. Libro Primo, il regista inizia un’indagine sulla scuola e sull’istruzione italiana. Adottando un punto di vista antropologico Amelio crea un film di montaggio di materiale d’archivio che parte dall’inizio del 1900 ed arriva fino al 1960, lavoro di raccolta e semantizzazione del repertorio utilizzato, che almeno in maniera programmatica si concluderà con l’uscita di un futuro Libro secondo, provando nell’intento di dare una lettura analitica ed aprioristica di tutto il ’900 italiano. Una strada che parte dall’alfabetizzazione della popolazione e passa per la disciplina e l’inquadramento militaresco del Ventennio fino ad arrivare a strutturare considerazioni che implicano una critica societaria di chiaro stampo pasoliniano. Il film si conclude proprio con un’intervista in cui Pasolini, ricollegandosi alle tesi da lui espresse nel famoso articolo del 1975, Aboliamo la tv e la scuola dell’obbligo, riflette sulla scuola come un organismo di borghesizzazione malcelata e forzata della popolazione, uno strumento utilizzato dal potere egemone per insegnare "delle cose inutili, stupide, false, moralistiche", iniziando le giovani menti alle qualità di vita piccolo borghesi.

Amelio monta del materiale alternando la situazione scolastica delle borgate cittadine di tutta Italia, dal Nord al Sud, con le situazioni di scuole per ragazzi provenienti dalla medio alta borghesia, istituti questi che sorgono nei quartieri più elitari delle grandi città italiane e che necessitano di rette molto alte per parteciparvi. Ripercorrendo questo sistema di orientamento al privilegio e non al diritto scolastico, il regista considera agli albori del ’900 la selezione fatta degli scolari sulla base del lavoro dei genitori, istituti speciali e classi differenziali che sorgevano ai confine delle periferie, dove "poter raccogliere la coscienza sporca" del sistema scolastico italiano stesso. Una ghettizzazione di massa per salvaguardare la crescita del ceto abbiente a sfavore delle classi meno privilegiate. Amelio oltre a Pasolini cita, attraverso la scrittura del montaggio, anche l’episodio della scuola di don Milani, organismo sano garante dell’uguaglianza dei Gianni e dei Pierini, una realtà scolastica fondata sull’equità, principio fondante e coerente di qualsiasi sistema democratico. E continuando con Pasolini mi sento in dovere di citarne un estratto: "Altrimenti, le nozioni marciscono: nascono morte, non avendo futuro, e la loro funzione dunque altro non è che creare, col loro insieme, un piccolo borghese schiavo al posto di un proletario o di un sottoproletario libero (cioè appartenente a un’altra cultura, che lo lascia vergine a capire eventualmente nuove cose reali, mentre è ben chiaro che chi ha fatto la scuola d’obbligo è prigioniero del proprio infimo cerchio di sapere, e si scandalizza di fronte ad ogni novità). Una buona quinta elementare basta oggi in Italia a un operaio e a suo figlio." La strategia cinematografica adottata da Amelio ha un obiettivo ben preciso, mettere in relazione materiale d’archivio, cercando di creare delle sincronie semantiche rispetto al suo messaggio, lo stesso già esposto sia da Milani che da Pasolini. D’altronde durante i titoli di coda suona "La libertà" di Giorgio Gaber e vorrei finire questo breve articolo citando il principio stesso di ogni democrazia racchiuso così bene in una strofa del cantautore milanese: "Vorrei essere libero, libero come un uomo, come un uomo che ha bisogno di spaziare con la propria fantasia e che trova questo spazio solamente nella sua democrazia": "la libertà è partecipazione".

Autore: Giorgio Sedona
Pubblicato il 19/10/2015

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