Vermin

di Sébastien Vaniček

Un film coraggioso e intenso sulle nostre paure più profonde e le nostre fobie più radicate, diretto con estro, lucidità e consapevolezza.

Vermin - Vermines recensione film

La definizione di "parassita" ("vermin") per indicare in senso dispregiativo coloro che vivono ai margini della società in condizioni di povertà e di illegalità, dunque elementi nocivi e pericolosi per la sopravvivenza dei gruppi egemoni, purtroppo non è un novità ma il risultato di un esercizio sistematico di esclusione dei singoli individui, o di comunità di persone, attraverso l'attuazione di strategie psicologiche e sociali di delegittimazione ben precise, spesso in concomitanza con l'istituzione di barriere fisiche. Si tratta di un processo di "deumanizzazione", ereditato dal colonialismo, con il proposito di giustificare e mistificare i soprusi e le violenze progettate o perpetrate nei confronti delle categorie più deboli e delle minoranze per renderle inoffensive e soverchiarle. Parte integrante di questo fenomeno è la «balianopho­bie», ovvero quell'insieme di pregiudizi e stereotipi, a sfondo razziale e religioso, alimentati dai mass media per ghettizzare e fomentare un clima di paura e odio verso i giovani abitanti delle periferie francesi. A loro è dedicato Vermin, il promettente esordio alla regia di Sébastien Vaniček, in cui i cosiddetti "sconfitti dalla globalizzazione", con il loro bagaglio di disagio esistenziale, assurgono al ruolo di (anti) eroi per salvare il proprio quartiere, in modo analogo a quanto succedeva ai loro coetanei anglofoni protagonisti del film Attack the Block di Joe Cornish. Nonostante il titolo, volutamente ambiguo ed accattivante, sembri rievocare il fascino retrò dei monster movies del passato, complice la massiccia presenza di una misteriosa stirpe di ragni letali come antagonisti, il film di Vaniček è dunque drammaticamente attuale e gli aracnidi non sono altro che un espediente narrativo per raccontare una cruda storia di rivolta sociale e alienazione metropolitana. Infatti, gli invasori a otto zampe non provengono dallo spazio siderale, non sono l'esito di un esperimento scientifico fuori controllo ma assomigliano, piuttosto, a una cellula dormiente di un nucleo terroristico: una minaccia multiforme e imprevedibile, annidata negli anfratti più bui del modello capitalista e pronta a scatenarsi in qualsiasi momento.

Vermin 1

Forte di un'atmosfera cupa e claustrofobica - numerosi sono i riferimenti cinematografici da Aliens a Rec - l'intero film si sviluppa all'interno di un "alveare di cemento" nel cuore delle banlieue parigine, messo in quarantena dalla polizia come un rettilario esotico da contenere e reprimere a colpi di manganelli e lacrimogeni. Tra queste mura, un pugno di ragazzi, abbandonati a sé stessi come orfani, deve superare le diffidenze reciproche per lottare contro l'orda selvaggia di ragni che insidia il loro "territorio". La battaglia da combattere dunque non è soltanto quella per la sopravvivenza ma quella per rivendicare il proprio diritto di esistere e difendere il proprio spazio nel mondo, perché il pericolo più grande per gli abitanti dei "quartieri sensibili" non è tanto morire, ma restare imprigionati in una "ragnatela" che soffoca inesorabilmente qualsiasi possibilità di integrazione e riscatto sociale. Quello che risalta nella caratterizzazione dei personaggi, sempre credibili nelle loro interpretazioni e mai caricaturali, seppure confinati nel ruolo di emarginati, è che i giovani banlieusard di Vaniček non sono delinquenti, né spacciatori e neanche dei fanatici religiosi. Kaleb e i suoi amici sono dei rabbiosi,  sono dei delusi, ma sono soprattutto delle vittime, insieme alle loro aspirazioni, di quel "ascensore sociale" - in panne ormai da troppo tempo - per cui soltanto un numero esiguo di loro può sperare di trovare un lavoro qualificato e, di conseguenza, cambiare quartiere lasciando le periferie. Per tutti gli altri, la maggior parte, si tratta di restare a galla, divisi tra la disoccupazione  e la frustrazione di un orizzonte senza prospettive.

Vermin 2

Presentato in occasione dell' 80ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia a chiusura della "Settimana Internazionale della Critica”, Vermin è un film coraggioso e intenso sulle nostre paure più profonde e le nostre fobie più radicate,  diretto con estro, lucidità e consapevolezza da Vaniček. Un giovane autore che, guardando al cinema  di Jordan Peele,  non solo riesce a offrire allo spettatore un'esperienza totalmente immersiva, ma attraverso il genere horror/scifi invita anche a riflettere sulla profondità e la gravità delle fratture sociali e culturali all’interno della società francese nella quale è cresciuto e con la quale si è dovuto confrontare. Il risultato che trapela dalle immagini sullo schermo è quello di una realtà desolante, a tratti quasi distopica, soprattutto dopo gli attentanti a Charlie Hebdo, in cui la crisi economica e un circuito politico-mediatico sensibile solo ai fatti di cronaca più eclatanti e spaventosi contribuisce all’ignoranza generalizzata sulle vere condizioni di vita delle periferie: "zone d'ombra" dove ancora oggi per le nuove generazioni "spaccare tutto" resta l'unico modo - il più tangibile - per farsi sentire. 

Autore: Jacopo Bonanni
Pubblicato il 10/09/2023

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