Prisoners of the Ghostland
Affiancato da Cage, Sono tenta per la prima volta il film internazionale in lingua inglese ma il risultato è troppo innocuo per essere rappresentativo. Film d'apertura al TOHorror 2021.
"Sono destinati a conoscersi tutti coloro che cammineranno per strade simili" osservava Tagore in una sua poesia, a proposito della puntualità del destino. Una riflessione che riesce a catturare perfettamente la natura delle aspettative nutrite dal pubblico alla notizia dell'insolito sodalizio artistico tra due icone del cinema, accomunate da una naturale predisposizione all'eccesso, come Nicolas Cage e Sion Sono. D'altronde, considerando il carattere grottesco e iperbolico delle rispettive filmografie, era lecito immaginare che l'imprevedibile regista nipponico avrebbe scelto l'attore più eccentrico e controverso del pantheon hollywoodiano come star indiscussa del suo Prisoners of the Ghostland, primo film in lingua inglese diretto dal prolifico cineasta di Toyokawa.
Nel film, ambientato in una distopica terra di confine onirica e allucinata, Cage interpreta il ruolo di un enigmatico "straniero senza nome" che per riscattare le sue colpe - in seguito a una rapina sfociata in tragedia - stipula un patto faustiano con il dispotico Governatore (Tedd Mosley) che sta a capo della subdola comunità di Samurai Town. In apparenza, la sua missione è quella di portare in salvo Bernice (Sofia Boutella), la geisha prediletta di Mosley, scomparsa nella misteriosa Ghostland: una sorta di limbo, infestato dai fantasmi di una catastrofe nucleare. In realtà, una volta giunto al termine del suo viaggio (iniziatico), l'inconsapevole protagonista scoprirà di essere stato ingannato dal suo committente e finirà così per trasformarsi - come da tradizione - nel vendicativo eroe di una tribù di reietti, liberandoli dal giogo del loro spietato aguzzino.
Dopo gli intrepidi esperimenti cinematografici a cui ha abituato pubblico e critica – come testimoniano, tra i tanti, le sue schizofreniche incursioni nel cinema horror (Tag), nella fantascienza (The Whispering Star), nel musical (Tokyo Tribe) fino al softcore (Antiporno) – Sono manifesta ancora una volta, nel bene e nel male, la sua volontà di stupire a tutti i costi, al punto da presentare come biglietto da visita per il pubblico oltreoceano una stravagante odissea weird western - caotica ed ipercitazionista - che sebbene non riesca mai a trovare il suo baricentro non lesina intuizioni dai risvolti metafisici e ambizioni meta-cinematografiche. Al netto di una spettacolarità complessiva di fondo, stilistica ancor prima che tematica, gli elementi più interessanti di Prisoners of the Ghostland vanno cercati - come sempre - nei dettagli, nei molteplici spunti di analisi, disseminati da Sono tra le righe della trascurabile storia di vendetta e redenzione che prova a raccontare. Infatti, se dal punto di vista narrativo il regista gioca sull' immediatezza, limitandosi a omaggiare - fino a parodiare - con maestria le sue fonti primarie d'ispirazione (Mad Max e 1997 - Fuga da New York in primis, senza tralasciare L'armata delle tenebre) è sul fronte concettuale e simbolico che offre il meglio del suo repertorio.
Soltanto in quest'ottica è possibile intuire come il vero prigioniero del film, in verità, sia il cinema stesso - di matrice orientale e occidentale - intrappolato nell'immaginario bulimico che ha contribuito a plasmare, generando quei (sotto)generi – dallo spaghetti western al pulp fino all’inflazionato post-apocalittico - da cui adesso fatica a emanciparsi. Lo ribadiscono costantemente i personaggi che vediamo apparire sullo schermo, in cui tutti - dai rimandi ai samurai del cinema di Kurosawa ai cowboy di Leone - sono ridotti al rango di spettri, forme prive di sostanza, caricature di un'epoca gloriosa, ormai trascorsa, che deambulano spaesate nel labirinto creato da Sono, dove realtà e finzione, memoria e oblio si amalgamano in un futuro fittizio che in realtà evoca solo il passato.
Non a caso il tema dominante attorno a cui si raccoglie l'azione è l'ossessione del tempo, rappresentato da un gigantesco orologio (simile a quello presente in un altro western sui generis, Pronti a morire di Raimi), che ha smesso di scandire le ore, negando - di fatto - agli abitanti della Ghostland ogni possibilità di confronto con il mondo che li circonda. Proprio per questa ragione è indispensabile l'intervento di un punto di vista alternativo, quello esterno del regista, che attraverso le parole e le gesta del protagonista ci ricorda che esiste una sola condizione per non restare schiacciati dal peso del proprio vissuto, ovvero prendere coscienza di noi stessi, elaborando quei traumi - pubblici e privati - che ci impediscono di cogliere l'opportunità di affrontare il presente, sotto qualsiasi forma e in qualsiasi momento si manifesti.
Al netto di ciò, nonostante la validità di alcuni spunti visivi e le evidenti affinità elettive tra Sono e Cage, sulla lunga distanza questo Prisoners of the Ghostland non mantiene purtroppo le promesse iniziali. Figlio di una genesi travagliata, a causa delle condizioni di salute del regista, e penalizzato da una sceneggiatura approssimativa perennemente indecisa tra la satira sociale e la digressione filosofica, il nuovo film di Sono – il più ambizioso dal punto di vista commerciale, pensato e voluto per far conoscere al grande pubblico l'estro visionario e dissacrante del regista nipponico –rischia di risultare, paradossalmente, il suo lavoro più innocuo, edulcorato, e ancor peggio il meno rappresentativo. Un risultato che è possibile evincere anche dalla performance di Cage, sicuramente tra le meno selvagge e convincenti viste negli ultimi anni, soprattutto se paragonate alla resa su Mandy e Colors Out of Space. Tuttavia, al di là di ogni considerazione personale, condivisibile o meno, Prisoners of the Ghostland resta comunque una visione necessaria, una tappa obbligata per chiunque voglia addentrarsi, consapevolmente, nel bizzarro universo di Sion Sono: l'autore più spregiudicato, istrionico e contraddittorio del cinema giapponese contemporaneo.