Dream Scenario
La chiave per riflettere sull’era digitale al cinema è ancora da trovare, ma il norvegese Kristoffer Borgli potrebbe avere qualcosa da dire.
Per essere la forza motrice dell’intero immaginario contemporaneo, non si può dire che siano molti i film ad aver raccontato gli effetti cognitivi dell’Internet 2.0 sulla nostra psiche.
Un silenzio forzato che rivela l'intraducibilità dei due medium: quei fenomeni online tanto pervasivi da farsi cultura di rado trovano manifestazione nella realtà concreta - ed è purtroppo con quest’ultima che il cinema opera. Ascoltare personaggi di un film dibattere di cancel culture o alt right saprà sempre di artefatto, e non è detto che l'auto-ironia tenga come alibi: con ogni probabilità, quella stessa ironia è già stata fatta, l'argomento era già esaurito il pomeriggio stesso del giorno in cui andò in trending. Chiedere a Rian Johnson, ad Adam Mckay, o a Ruben Ostlund, il cui sarcasmo facilone in Triangle of Sadness pareva indietro sulle stesse idiosincrasie giovanili che pretendeva di parodiare. I trend digitali evolvono attraverso l'autocritica ironica, e ogni lettura “definitiva” è già banale nell'istante stesso che si perde a formalizzarla. Un meme muore come finisce in bocca agli opinionisti dei talk show, una sottocultura social è ufficialmente alla frutta quando iniziano ad arrivare gli editoriali di approfondimento.
Dream Scenario è l'autocandidatura di Kristoffer Borgli come satirista ufficiale della digital era, e viste le premesse non resta che applaudire al coraggio.
Dream Scenario amplia e migliora dunque un discorso già aperto dall'autore norvegese con i grotteschi DRIB e Sick of Myself, drenando lucidamente gli eccessi provocatori in favore di un approccio più morbido e sottile. Come il feroce e un po' sboccato film precedente, anche il terzo lavoro del regista muove su un terreno assurdista nel quale l’horror è ingrediente solo secondario. La surreale premessa è più figlia di certa comicità televisiva peraltro apertamente citata (Seinfeld, i sempiterni Simpson), dunque funzionale alla commedia di costume più bunueliana che polanskiana. Protagonista non è un incubo astratto quanto il quotidiano rapporto dell'individuo con l'internet tutto, inteso come manifestazione tangibile dell'immaginario collettivo (si cita Jung, ovviamente nella versione cretinizzata a là Jordan Peterson – per non sbagliare, citato a sua volta).
"Vita e morte di un meme" potrebbe sottotitolarsi Dream Scenario, storia di un omuncolo senza qualità, tra Ned Flanders e Walter White e mille altri, che come in un vecchio creepypasta si riscopre protagonista involontario dei sogni dell’umanità. Sovvertito il rapporto gerarchico tra immagini e realtà, il poveruomo vedrà sfumare quest’ultima nel labirinto delle rappresentazioni altrui. Non è un caso dunque che a dar corpo allo sventurato Paul Matthews sia l'attore-meme per eccellenza. Dopo due decenni di prese per il culo (dalle api di Wicker Man e la torta di Family Man e giù irridendo), Nicolas Cage ha finalmente riconosciuto l’espropriazione della propria immagine a opera del web. Il Talento di Mr C. era solo l’antipasto; sempre più consapevole della propria maschera, eccolo alla guida di un cast volutamente piatto e senza divi con il più ridicolo dei make up, vestiti fuori misura e vocetta da cartoon. Nicolas Cage meta-attore, wojak di carne in un mondo di umani, frammento di significato senza più referente alla deriva nell'infosfera.
Non è però l'eroe di Dream Scenario l'unico meme-suo-malgrado del film. Un’ulteriore chiave di lettura emerge contestualizzando l’opera all’interno del catalogo A24, etichetta talmente sdoganata da permettersi oggi, più o meno volontariamente, di entrare nella fase dell’autoparodia. Come il protagonista del film, anche la casa madre del cosiddetto elevated horror è al guado di una crisi di mezza età: il trionfo mainstream di EEOAO e The Whale da una parte, il cappotto finanziario di Men e Beau is Afraid dall'altro, voci insistenti su un'imminente svolta in direzione delle grandi IP all’orizzonte. Consapevole di arrivare al termine di un ciclo, l'europeo Borgli ha campo libero nel proporre la prima riflessione consapevole sul sottogenere. Fingendo di stare al gioco, si giustificano così le riciclatissime idee visive del film, sempre quelle, talmente ricorrenti nell’A24 Cinematic Universe da sembrare illustrazioni di un unico catalogo fotografico. Ironia sul paratesto, riciclaggio consapevole: se gli indie-horror metaforici sono meme a loro volta, non possiamo più riproporli senza riderne.
Basta cogliere i layers per accontentarsi? Verrebbe da opporre un no stizzito e un po' esasperato al giochino di rimandi. L’altrimenti modesto Dream Scenario ha però dalla sua qualcosa che mancava ad altre invettive sulla contemporaneità - tanto alla brutalità di Tàr (o di Sick of Myself), quanto alla fatuità dei vari Glass Onion o Bodies Bodies Bodies. È la sincera umanità di fondo dell’opera, piccola tragedia di un uomo ridicolo in questo incomprensibile decennio. Viene da pensare che, fosse vivo, Dino Risi si inventerebbe oggi un commento del genere, magari con Pozzetto protagonista. Sarà questo che fa voler bene a Dream Scenario: stanchi dello shitposting sarcastico, l'ultimo step che ci rimane dopo l'overdose di cinismo è ritrovare l’empatia.