Spring
Un horror che fa dell’incantevole Polignano a Mare luogo ideale di riflessione sul senso di eternità.
Evan, un ragazzo americano qualunque, decide di compiere un viaggio in Italia dopo la tragica morte dei genitori. Approdato nella tranquilla località di Polignano a Mare si imbatte nella misteriosa e affascinante Louise, finendo per innamorarsene perdutamente. Ma la donna nasconde un segreto inconfessabile radicato al passato e a pulsioni primordiali.
La luce pallida della controra riverbera sulle superfici marmoree dei fatiscenti edifici, in suggestioni metafisiche plasmate da luci accecanti e ombre buie. Quella di Polignano a Mare è una location ideale per Spring, che rafforza il senso più profondo di questa intrinseca riflessione sull’amore e sull’eternità, seppure rivestita dei più conturbanti costrutti horror.
Lì dove impazza una luminosità soffocante persistono infatti anche le ombre più scure. Perché quello di Benson e Moorhead è un film che si anima di continui contrasti (sintetizzati specularmente nella disarmonia dei caratteri e nell’eterocromia degli occhi di Louise): luce e ombra; vita e morte; quotidiano e straordinario; presente e passato; limpido (come il mare, il cielo mediterraneo e la roccia d’alabastro) e oscuro (come le tenebrose navate delle chiese, i vicoli impervi e i misteri che dimorano nell’animo della donna).
Reduce dal destabilizzante lutto, Evan dovrà fare i conti con le sue paure, le sue incertezze e il suo completo distacco dalla securitaria membrana genitoriale: lontano dalla sua patria, incompreso dai pochi amici, ormai apolide in una terra colma di insidie, così arcana e aliena al suo modus vivendi di stampo yankee. Spring è un film che, in questo senso, assume i contorni del classico romanzo di formazione, ma che poi raggiunge vette ben più alte, aprendosi a riflessioni sul senso di eternità che coinciderà inevitabilmente con il più nobile dei sentimenti: l’amore.
È infatti proprio questa la forza propulsiva che si snoda in filigrana nelle vicende tutte, spesso stemperate con ironia o affrontate con estrema perizia: la coltivazione degli alberi di ulivo, i riti animisti, i riferimenti agli affreschi pompeiani e all’arte sacra e profana del caravaggesco Paolo Finoglio. Tutto un concitato e vertiginoso percorso che si aprirà ad una rivelazione ultima, all’affiorare di quel mistero taciuto da Louise, ma che agli occhi di Evan diviene ben presto accettabile, quasi plausibile nonostante la sua unicità, la sua natura sovrumana, così come forse è il sentimento d’amore che lo lega alla donna; un appianamento di ogni pregiudizio, ogni sconvolgimento contingente in favore di un legame che trascenda ogni dimensione spaziale e temporale e si proietti all’infinito pur compiendosi nell’hic et nunc della propria fragilità umana. Una fragilità, una finitezza che sa però sognare, farsi immortale proprio tramite i principi eternanti dell’arte e dell’amore.