Into the Storm

Un disaster-movie estivo scisso a metà, in cui le scene più spettacolari arrivano come aria fresca ad alleggerire un racconto piatto e spesso retorico, diverse volte oltre il limite del melenso

Come e più di Twister, i protagonisti di Into the Storm sono animati dall’ossessione scopica per la vista della distruzione. Come il cuore della fiamma, anche il centro del ciclone esercita il fascino ipnotico di un catalizzatore, una calamita per gli occhi che spinge i personaggi a voler essere sempre più vicini, fino al limite più estremo. Uno di loro arriverà addirittura a scorgere la luce del sole nel cielo sereno oltre le nubi, tanto in alto viene spinto dalle correnti del tornado dopo esserne stato catturato. Ma la ricompensa dura soltanto un attimo. La visione si richiude nel tempo di un battito di ciglia, poi resta soltanto la precipitosa caduta di ritorno verso la dura terra.

Da questo punto di vista allora la decisione di Into the Storm di ricorrere all’espediente narrativo della prima persona può apparire giustificata. Grazie al montaggio di camere professionali e riprese amatoriali seguiamo le vicende dei vari gruppi di personaggi e i loro modi diversi di interagire con la tempesta in arrivo. C’è la coppia di ragazzi che inconsapevolmente si pone sulla strada del tornado, gli youtubers amatoriali affamati di gloria e di immagini pericolose, gli studiosi e cacciatori di tempeste alle prese con un documentario che non s’ha da fare. Tutti loro in un modo o nell’altro finiscono per fronteggiare la tempesta, per osservarla da vicino attraverso i loro dispositivi di registrazione (ancora una volta come in tanti film in prima persona si continua a girare anche nelle situazioni più assurde e pericolose). Tuttavia nel corso della visione diventa chiaro come la pertinenza e la riuscita dell’adesione al point-of-view movie sia solo una parvenza, una scelta che rincorre e mai raggiunge la chimera dell’immediatezza e della maggior tensione più per accodamento modaiolo che per effettiva necessità.

Il film di Steven Quale (esordiente con Final Destination 5 e qui alla seconda opera) non riesce quasi mai a catturare e riportare l’ambigua fascinazione in primis spettatoriale per il disastro, tutti questi personaggi vagano avanti e indietro come pedine animate da una storia senza mordente, indecisa se percorrere la strada del disaster-movie o quella del dramma familiare. Il risultato è un film scisso a metà, in cui le scene più spettacolari arrivano come aria fresca ad alleggerire un racconto piatto e spesso retorico, diverse volte oltre il limite del melenso. Davvero troppe sono le scene di banale ricostituzione familiare, mentre l’ossessione per il tornado che smuove gli altri personaggi finisce presto per mostrare il fiato corto senza molto da dire. Non bastano allora le sequenze cariche di effetti speciali (alcuni dei quali interessanti, come il tornado di fuoco) a salvare un film indeciso e mal scritto, nel quale l’unico personaggio effettivamente valido risulta essere alla fine il twister stesso.

Autore: Matteo Berardini
Pubblicato il 27/08/2014

Ultimi della categoria