Tarda para la Ira (The Fury of a Patient Man)
Asciutto e (apparentemente) implacabile revenge-movie, esordio alla regia dell’attore spagnolo Raúl Arévalo.
Dalla Spagna arriva Tarde para la Ira (The Fury of a Patient Man), un revenge-movie che sorprende nel suo essere così asciutto, così secco, eppure interamente pervaso da una struggente mestizia di fondo. E’ un film triste, l’esordio dell’attore spagnolo Raúl Arévalo, triste perché consapevole che la violenza sia implacabile. Il desiderio di vendetta alimenta il personaggio di Jose, che all’inizio ci pare un uomo solo, impacciato e perfino tenero di sguardo. Molto presto scopriremo che sta attuando un piano di vendetta nei confronti degli uomini che durante una rapina uccisero sua moglie.
Ciò che è interessante del film di Arévalo, oltre a un ritmo serratissimo e all’essenzialità della messa in scena, è il cuore pulsante del suo protagonista e di Curro, l’uomo che fece da autista durante la rapina. Tutto sta nel rapporto che si crea tra i due personaggi, nelle frasi che (non) si dicono, negli sguardi di chi ormai si trova alla fine di una lenta, inesorabile deriva. La vendetta, nel film di Arévalo, è un germe impetuoso che si alimenta giorno dopo giorno, un virus che distrugge lo sguardo e incendia il cuore. Un’idea fissa che dilania fino allo sfinimento: non c’è più spazio per un altro mondo, non c’è più spazio per un’altra vita, non resta altro da fare che finire la propria missione.
Arévalo sottrae, scioglie, getta violenza sulle scie di un road-movie esistenziale: evita le soluzioni registiche più facili e ovvie, prende le distanze, rispetta gli spazi e le persone, calibra i tremori della macchina a mano, ci offre brutali scene di violenza che sembrano provenire più dal cinema di uno come Audiard che dall’ennesimo revenge-movie. Ma è consapevole, soprattutto, che ogni personaggio, che sia vittima o carnefice, ha una vita, un cuore, una storia che merita di essere ascoltata, osservata, perfino rispettata.
Niente di nuovo? Probabilmente, ma Arévalo aderisce così umanamente ai canoni del revenge-movie da trovare tutto il suo interesse, tutto il suo vero film, nel rimpianto fuori-campo di una vita che non potrà più essere vissuta. Questo vale per Jose ma anche per Curro: eppure, quando meno te lo aspetti, c’è una valvola d’ossigeno, una nuova vita che fa sfuggire il film dalle logiche deterministiche e fatali del canone, ma lascia vivere, lascia continuare, lascia che tutto il resto sia.
Alla fine sembra quasi di aver visto un western, perché di personaggi così, buoni o cattivi non fa differenza, il cinema si dimentica sempre di più. L’ultimo afflato umanista è un residuo che scalda il cuore. E in un film del genere, l’equilibrio tra durezza e fragilità, tra dolore e desiderio, è una boccata d’ossigeno.