Anhell69

di Theo Montoya

La comunità queer di Medellín in un toccante racconto alla SIC di Venezia.

anhell69-recensione

Sinfonia urbana e, come dice lo stesso autore, film trans, Anhell69 percorre le notti di Medellín, capitale violenta ma anche incendiata da corpi che danzano come fantasmi notturni per opporsi a quel “regime” che vuole schiacciarli. Il primo lungometraggio di Theo Montoya, a metà tra diario intimo e documentario sulla città colombiana, è un urlo di vita ma allo stesso tempo un canto funebre per chi, come il protagonista che aveva scelto per il suo film, non è sopravvissuto a quella ribellione nelle viscere della metropoli madre e matrigna. Anhell69 è infatti il nickname sui social di Camilo Najar, il ragazzo morto di overdose a una settimana dal provino che gli avrebbe dato il ruolo di protagonista nel film di Montoya. Ma non è dedicato solo a lui; insieme a Camilo, il regista ha perso diversi amici e conoscenti, sintomi di un momento in cui disperazione e ribellione per un ambiente così ostile generano inevitabilmente vittime. I diversi intervistati parlano quasi tutti di una città e una nazione che ha vissuto senza figure paterne, una cultura portata avanti dalle madri che hanno dovuto crescere questa generazione senza uomini che, fuggiti o morti, hanno abbandonato tutto sulle loro spalle. Sullo sfondo invece i ricordi di una figura maschile ingombrante come quella di Pablo Escobar che ha modificato le sorti del paese.

I corpi che si muovono e si avvinghiano nei party illegali sono il motore di una sorta di movimento libero che non si piega a chi non li accetta, la notte con i suoi fantasmi diventa arma espressiva e luogo dove i vivi e i morti coesistono. Perché in origine il film doveva essere un proprio B-movie sui fantasmi che vagano nella notte di Medellín accoppiandosi con i vivi. I neon, le luci stroboscopiche e l’atmosfera promiscua, contrastano i momenti in cui vengono intervistati i ragazzi che prenderanno parte al film, illuminati e malinconici nei racconti della loro infanzia.

Difficilmente classificabile, quello di Montoya è un lavoro sul fare cinema, l’arte della spectrophilia per eccellenza, e su come questo rappresenti per il regista/autore un’ancora salvifica e un atto di ribellione. Presentato alla Settimana Internazionale della Critica di Venezia 2022.

Autore: Andreina Di Sanzo
Pubblicato il 10/09/2022
Colombia, Romania, Francia, Germania 2022
Durata: 75 minuti

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