X

di Ti West

Il ritorno al cinema e all'horror di Ti West si colora dei toni vintage dello slasher anni 70, ricalcandone spirito e forma

X - recensione film west

Sul presunto e prematuro declino artistico di Ti West si sono spese fin troppe parole. Da The Innkeepers fino a Nella valle della violenza, ogni presunto passo falso del regista statunitense è sempre stato visto, dai suoi detrattori, come il sintomo di un talento mai concretizzatosi davvero e destinato a sparire rovinosamente. Eppure era proprio tra le pieghe dello spiazzante western con John Travolta che si sarebbero già potuti scorgere i germi di un film tutt'altro che fallimentare come X.

Con un approccio al genere non dissimile da quello adottato nel penultimo lavoro, infatti, il ritorno dopo un lustro del regista di The House of the Devil al cinema e all'horror non è solo un semplice omaggio, ma un'attualizzazione di logiche consolidate, un atto d'amore di chi nel genere e nella sua forma ci è rimasto invischiato, immerso fino al collo in un tempo e in un immaginario ben precisi. Il mondo di X, del resto, è quello che tutti conosciamo, quello di Tobe Hooper e degli horror anni 70, dello slasher e di una provincia americana ostile a qualsiasi cambiamento. È qui, tra Non aprite quella porta e Venerdì 13, Halloween e i film d'exploitation, che trova la sua naturale collocazione questo horror vintage con tutti gli stereotipi e le regole del caso. Un'operazione in cui è proprio il calco e l'esibizione sfacciata del “già visto” a fare da motore alla vicenda, a partire dal tema della libertà sessuale e dalle conseguenze che questa comporta.

È un'epoca di conflitti, d'altronde, il 1979 di X. Conflitti generazionali, razziali, di genere ma anche terreno di scontro culturale, morale, etico. Quale modo migliore, allora, per esplicitare tutto ciò se non eleggendo a protagonisti i componenti della troupe di un film pornografico, capitati loro malgrado su un set che si rivelerà di tutt'altra natura? Ecco allora che agli inserti in perfetto stile softcore disseminati lungo la pellicola presto subentra il genere conservatore per eccellenza, riappropriandosi della scena e ristabilendo il suo personale ordine delle cose, fino a sopprimere lo scompiglio portato dal nuovo e da un desiderio che, una volta acceso, rischia di non andarsene più.
Sì, perché gira tutto attorno allo sguardo e al desiderio l'orrore al centro di X. Una questione morale giocata interamente sul filo della rappresentazione, tra obiettivi e specchi, immagini desiderate e desideranti. Una dinamica che non risparmia nessuno, nemmeno i carnefici, coppia di anziani resi folli da un fardello di repressione e rimpianti destinato a deflagrare, rivelando l'ambiguità di fondo di una contrapposizione in realtà illusoria.

Temi tutt'altro che superficiali, quelli messi in scena da X, la cui forza però, nonostante le premesse e il marchio di una A24 ormai punto di riferimento per i così detti elevated horror, è proprio quella di saperli diluire in un film schietto e immediato come i titoli a cui guarda. Nessun ammiccamento esasperato o sbandieramenti metalinguistici nel film di West, men che meno derive arthouse o autoriali: solo l'universo di cui da sempre il suo cinema si nutre e lo sguardo oramai riconoscibile che lo attraversa. Un horror semplice e rigoroso che si prende, come di consueto, il suo tempo per pedinare i suoi personaggi (sopra a tutti una Mia Goth nella doppia e intercambiabile veste di vittima e carnefice) mentre annoda il cappio attorno al loro collo, fino all'immancabile esplosione di violenza finale.
Il ritorno tutt'altro che mediocre di uno sguardo e di un'idea di cinema forse non a tutti congeniale ma pronta, dal canto suo, a (ri)mettere radici.

Autore: Mattia Caruso
Pubblicato il 02/06/2022
Canada, USA 2022
Regia: Ti West
Durata: 106 minuti

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