Joker
Realizzato e impacchettato per essere diverso dai tradizionali cinecomics, il film con Joaquin Phoenix vince il Leone d'Oro ma è incapace di creare inquietudine e di andare oltre la superficie.
A presentare il personaggio di Arthur Fleck, prima ancora del suo volto, è la sua risata. Una lancinante nenia che nasconde un disturbo patologico che lo fa scoppiare in risate isteriche quando è sottoposto a stress emotivi rilevanti. E, nel Joker di Todd Phillips, i motivi per essere stressati sono tantissimi e trovano terreno fertile in una Gotham City brutta, sporca e cattiva, che pesca a piene mani dall’immaginario newyorkese della New Hollywood anni ’70.
Come Travis Bickle, anche Arthur Fleck è un isolato sociale. La smaterializzazione e la costruzione simbolica della sua identità passano attraverso una trasmissione televisiva condotta dal celebre stand-up comedian Murray Franklin, interpretato da Robert De Niro. A differenza degli antieroi dei cinecomics di Burton e di Nolan, l’Arthur Fleck di Joaquin Phoenix si perde in voli pindarici immaginari e sogna di abbandonare le luride tenebre che lo circondano. L’uomo lavora come pagliaccio e vive prendendosi cura della madre. Quando si chiude in stanza, improvvisa dei balletti, desiderio e contemporanea negazione delle luci della ribalta. Dopo essere stato denigrato in modo particolarmente aspro, Fleck si macchia di un crimine. Da quel momento in poi, le sue condizioni mentali si faranno sempre peggiori.
Della demenzialità della trilogia di Una notte da leoni rimane ben poco, a parte quella risata che dà avvio al film. Gli squarci sulla metropoli e sulla strada sono frammenti che restituiscono un contesto urbano degradato, preda di saccheggi e di emarginazione. Il popolo non ne può più di un Sistema guidati da miliardari come Thomas Wayne, il ricco padre del piccolo Bruce, e finisce per indossare quella maschera di Joker che, in fin dei conti, Joaquin Phoenix evita di mettersi addosso. Perché l’attore americano vive nei panni del Joker, trasformandosi in una versione ancora più disperata e solitaria di Freddie Quell e raggiungendo, nel finale del film, lo statuto cristologico di martire.
È il momento della rivolta a scatenare qualcosa di ben più grande dello stesso Joker e a trasformare un disagio (e un antieroe) privato in uno collettivo, come se fosse una proiezione delle dinamiche mentali malate di un’intera società. Phillips segue la deflagrazione della follia, facendo aderire la macchina da presa al corpo dell’attore e lasciandola libera di galoppare, aggrappandosi alla sua difformità fisica. In universo mediale contemporaneo, però, caratterizzato da una profusione di storie sui supereroi ed antieroi e sulle loro origini, è lecito chiedersi quanto sia autentica una singolare operazione come questa, definita dal suo regista come qualcosa di assolutamente unico. Negli USA, il film è stato vietato ai minori di 18 anni, sintomo della presenza di una buona dose di coraggio nella sua realizzazione. A non convincere, tuttavia, è la paradossale pulizia ed asseticità che caratterizza questo Joker. Perché se gli accessi di violenza non mancano, ad essere totalmente assente è la capacità di creare inquietudine reale e ansia sociale. Lo scoppio delle rivolte cittadine, l’isolamento di Arthur, i tagli ai sussidi riservati alle associazioni ospedaliere che si prendono cura di chi soffre di patologie mentali, la diffusione virale della follia non satura mai lo schermo ma esiste come un timido fantasma che ondeggia lungo la superficie del film.
Pure la tendenza di Phoenix a sconfinare nel sopra le righe è partecipe di un processo che rende artefatta la sua interpretazione, studiata a tavolino e imbellettata e, proprio per questo, colpevole di depotenziare il suo strabordante potenziale iniziale. Infine, a destare qualche dubbio è anche l’allontanamento dal materiale di partenza perseguito durante la prima parte del film ed il successivo riavvicinamento, rappresentato dall’ennesima trasposizione sullo schermo di una scena madre nella storia dei rapporti tra Joker e Batman. Perché fare delle promesse per poi disattenderle nel corso di una sequenza che avrebbe potuto fare a meno di un tale riciclo immaginario? Ad aver condannato Joker, questa volta, è stata proprio la sua singolarità.