Tokyo!

Film a episodi che raccoglie tre validi lavori di Michel Gondry, Leos Carax e Bong Joon-ho per un tris di sguardi "stranieri" sulla grande metropoli giapponese.

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Composto da tre episodi girati rispettivamente dai francesi Michel Gondry e Leos Carax e dal coreano Bong Joon-ho, Tokyo! è un interessante trittico di sguardi “stranieri” su una delle metropoli che più di ogni altra evoca quel senso angoscioso di alienazione e inadeguatezza che caratterizza, sempre più spesso, la quotidianità dei grandi agglomerati urbani della contemporaneità.

In Interior Design, Gondry racconta di una coppia di ragazzi che si trasferisce a Tokyo in cerca di nuove occasioni lavorative. Akira è un giovane regista che cerca di promuovere il suo film, e la fidanzata Hiroko fa il possibile per aiutarlo. In una Tokyo claustrofobica e labirintica, oppressiva e rumorosa, la ragazza però cade presto preda dell’apatia e dello sconforto, mentre l’unico lavoro che era riuscita a trovare (incartare regali in un negozio) le viene soffiato proprio dal fidanzato, più abile e rapido di lei a confezionare graziosi pacchetti-origami. Di fronte ai successi di lui, Hiroko non può che sentirsi inadeguata e, in un certo senso, inutile. Ecco allora che entra in gioco la penna surreale e visionaria di Gondry, con il suo tocco squisitamente naïve: la ragazza si trasforma, letteralmente, in una sedia, oggetto tanto semplice quanto essenziale. Come in una fiaba, ogni tanto la giovane riprende le sue sembianze umane, e in una di queste occasioni scrive un biglietto al fidanzato. Le sue parole rivelano l’aspetto forse più sconcertante della faccenda, cioè il fatto che lei accetti di buon grado il suo bizzarro destino. Essere una sedia sembra insomma paradossalmente più auspicabile che essere una ragazza disoccupata nel mondo di oggi. Se il linguaggio e le atmosfere del film sono leggeri e giocosi, l’assunto finale è innegabilmente pessimista e amaro. L’uomo, ormai palesemente inadatto all’ambiente che lo circonda (da lui stesso creato) ha come unica possibilità di sopravvivenza la metamorfosi e la mutazione, come del resto suggeriscono i protagonisti nella sequenza di apertura, che immaginano per gioco un futuro post-apocalittico. Ma questa mutazione, a giudicare da quanto Gondry racconta, non sarà un passo avanti, non sarà un cambiamento in meglio. Si tratta, all’opposto, come nota correttamente Matteo Berardini nel saggio Interior Design: a Midnight Nation [1], di una “de-evoluzione”.

Leos Carax descrive invece una misteriosa creatura delle fogne che esce allo scoperto per terrorizzare e aggredire gli abitanti della città. Nel suo nome, “Merde” – che dà anche il titolo all’episodio – c’è già l’esplicitazione di tutta una serie di cose: questo essere disgustoso è un rifiuto, una minaccia al mondo ordinato e pulito della superficie, così diverso dai sotterranei luridi e bui dove, di notte, si addormenta da solo tra i rifiuti. Dopo averne fatto un ghiotto caso mediatico – all’altezza delle paure e degli incubi della nostra contemporaneità paranoica, visto che l’America già vede in lui un esponente di al-Qaida – la società “civilizzata” lo condanna all’impiccagione. Salvo poi vederlo scomparire come per magia, quando già ciondolava con il cappio al collo. Merde è, in una certa misura, metafora di tutto ciò che di negativo e marcio palpita nelle fondamenta (per traslato, nei sotterranei) della nostra dimensione sociale, politica e mediatica. Per questo non può morire. Non può essere cancellato, né rimosso, né distrutto. Ma è anche un outsider, un reietto, un emarginato. L’ennesimo uomo che non trova il suo posto nella dimensione della contemporaneità. In questo senso, un filo rosso lo lega alla sfortunata Hiroko: entrambi, ognuno a modo proprio, sono degli “invisibili”. Lui è l’essere che per antonomasia viene rifiutato, il “mostro”. E lei, che si sente inascoltata e abbandonata, senza ambizioni né desideri, somiglia fin troppo a un fantasma, uno di quegli “esseri sottili” che si nascondono nelle le fessure tra i palazzi, come racconta Akira in una delle sue macabre fantasticherie. Del resto, dopo la sua prima metamorfosi, la vedremo proprio infilarsi nell’ombra tra due alti edifici, titubante e incerta, spaurita come uno spettro.

Ma anche il protagonista dell’episodio di Bong Joon-ho, Shaking Tokyo, è in un certo senso un emarginato. È un hikikomori, cioè un sociofobico che vive da anni confinato in casa, intento a impilare in perfetto ordine cartoni vuoti della pizza e rotoli di carta igienica. Il contatto con le persone lo terrorizza e la luce diretta del sole lo disturba. Il suo piccolo appartamento è diventato un museo immobile, un rifugio impenetrabile, e allo stesso tempo una prigione. Quando, per la prima volta, l’uomo deciderà di alzare lo sguardo sul viso dolce della ragazza che gli consegna la pizza a domicilio, la terra sarà scossa da un terremoto. Più intimista e minimalista degli episodi che lo precedono, quello di Bong Joon-ho è in fondo un diverso modo di declinare lo stesso tema affrontato dai due registi francesi, cioè quello della solitudine e del senso di inadeguatezza, in un mondo che sembra essere abitato solo da persone che non possono che sentirsi straniere, diverse o infelici. Shaking Tokyo però, a differenza degli altri due brani filmici, lascia intravedere un barlume di speranza, del tutto assente in Carax e in Gondry.

Che sia l’uomo ad essere inadatto al mondo (quello metropolitano, inquinato, opprimente e alienato che lui stesso ha plasmato) o il mondo, ridotto così com’è, ad essere inadatto a chi, non volendo soccombergli, diventa un “diverso”, Tokyo! è una lucida radiografia dell’inevitabile disincontro tra l’essere umano e la dimensione spazio-temporale in cui vive. Ora allucinatorio e ora malinconico, è un film in cui tre registi, ognuno attraverso la propria poetica e il proprio stile, riescono a intrecciare un discorso solido e coerente, complesso e sottile, dando riprova della profondità del loro sguardo.

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[1] Emanuele Protano, a cura di, Michel Gondry, l’eterno dodicenne, Edizioni il Foglio, Piombino (Li), 2012, pag. 155.

Autore: Arianna Pagliara
Pubblicato il 18/02/2015
Francia, Giappone, Germania, Corea del Sud 2008
Durata: 112 minuti

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