Twin Peaks 3 - The Return / 1x13 - 1x16
La serie di Frost e Lynch posiziona le pedine per un impossibile epilogo e ci incanta con il potere delle sue immagini totali
Un lungo ritorno a casa. Twin Peaks: The Return è ormai a un passo dal finale e le traiettorie dei suoi personaggi e dei suoi cristalli narrativi – traiettorie ellittiche, interrotte, spiraliformi – si fanno visibili e convergono verso il luogo dove tutto è iniziato. Da Buckhorn e da Las Vegas, attraverso le strade perdute che serpeggiano in questo universo poetico, i personaggi sono pronti a tornare a Twin Peaks. Le doppie vette ai confini del mondo, luogo di sdoppiamento e frammentazione dove qualcosa di irripetibile e meraviglioso sta (forse) per accadere.
Il primo e più importante ritorno a Twin Peaks è quello dell’agente Cooper, il cui nostos è durato ben venticinque anni. E che odissea è stata, quella dell’agente FBI incaricato di indagare sulla morte di Laura Palmer! Perso tra le (il)logiche della Loggia e gli ambigui tranelli del Male, incastrato nel ruolo di Dougie Jones e nel lungo coma di una vita di provincia, Cooper sembra avere infine ritrovato la luce e la propria identità («I am the FBI», principio di identità come nuovo inizio). Nella profonda catarsi del suo risveglio e dell’abbraccio a Janey-E e Sonny Jim, Cooper ritrova se stesso ed è pronto a tornare alle origini. Il suo risveglio imprime una irresistibile svolta nell’epopea di The Return, un cambio di marcia non solo narrativo ma formale: il montaggio si fa rapido e i colpi di scena si susseguono mentre l’agente vola verso Twin Peaks con la determinazione di un cowboy che cavalca verso l’orizzonte.
L’altro grande ritorno è quello di Bad Cooper e di BOB. Tanto è luminoso e positivo il personaggio di Cooper (unico eroe di questo mondo, impossibile come un paladino del Bene in un racconto per bambini), tanto è nero e distruttivo il suo doppio malvagio, che ha imperversato nel mondo da quando l’originale è stato esiliato.
Il ritorno di Bad Cooper a Twin Peaks ha il sapore di una resa dei conti tra i due lati dello specchio. Questa soglia vive di proprie logiche ed estetiche, per cui è difficile prevedere quale sarà l’esito dell’incontro; di certo, il mosaico di The Return sta per arricchirsi di un nuovo, decisivo, tassello.
Verso Twin Peaks, infine, si stanno dirigendo Gordon Cole, Tammy ed Albert. Se quello di Cooper è stato un viaggio epico di ritorno alla ragione, per gli agenti della task force Blue Rose il percorso è stato di stampo poliziesco e mystery. Un poliziesco alla Lynch, naturalmente: un metacommento sul genere e un discorso sul linguaggio delle immagini che, all’interno del suo mondo narrativo, non cessa mai di porre domande e evocare suggestioni che spaziano da James Bond al police procedural.
Mancano all’appello solo gli abitanti di Twin Peaks. Quelli che non se ne sono mai andati, abitanti e abitati dalla cittadina di confine. Big Ed Hurley, Nadine, Norma, Audrey, Dr. Amp, Hawk... schegge narrative sopravvissute al passare del tempo, emozioni e pulsioni in sospeso. Non sarò mai più chi sono stato, canta Eddie Vedder in una delle esibizioni del Roadhouse. Il ruolo di questi personaggi, tra nostalgia e sua negazione, è quantomai ambiguo e indefinibile. Le loro vicende private donano consistenza e rendono concreta la posta in gioco del mondo creato da Lynch e Frost: un mondo vivo, imperfetto, dove gli uomini si amano e si odiano, percorrono strade e costruiscono il proprio destino.
Di Twin Peaks, località geografica e segno urbanistico, abbiamo visto invece pochissimo, e quasi esclusivamente in scene di interni, come se la città fosse un luogo mentale creato dagli uomini che la popolano e che l’hanno tenuta in vita. Non pare un caso che Hawk, voce del passato e della memoria della terra americana, disdegni le cartografie digitali (come quella del navigatore GPS a cui si riferiscono Diane, Cole e gli altri) in favore di una mappa dell’affetto, antica, intrisa di simboli e mitologie. I luoghi più veri di Twin Peaks sono luoghi del cuore e della mente, boschi e negozi abbandonati e stazioni di benzina nel bel mezzo del nowhere americano. Luoghi creati (anche) con il digitale, o meglio: sulla soglia tra il corporale e il digitale/elettrico. Un altro confine incerto da cui gorgoglia la vita e l’arte. Da questa unione nasce un mondo dallo statuto incerto, fatto di effetti speciali volutamente grossolani e paradossi della visione. La grana della realtà si dissolve nei pixel e i luoghi emergono da sequenze di numeri e coordinate. Lynch è un cineasta destinato al digitale fin dai suoi primi passi, e The Return è la sua consacrazione come creatore di immagini di confine tra i due mondi.
Per quasi tutti i personaggi "secondari", comunque, la chiusura narrativa sembra vicina o compiuta. Margaret Lanterman (la Signora Ceppo), Richard Horne, Janey-E, Nadine, i fratelli Mitchum... personaggi vecchi e nuovi, vivi e morti, stelle di una costellazione accuratamente e lungamente composta, stanno svanendo in una lenta dissolvenza in nero. Sarebbe impossibile, in questa sede, ripercorrerne le singole parabole e i relativi significati. Ci basta notare che, dopo la fase di espansione nel lungo interludio, il mondo di Twin Peaks/Twin Peaks sta tornando a una apparente semplicità primigenia. Abbiamo assistito all’inizio di tutto, a quel Big Bang drammaturgico che è stato l’episodio 8, e ora Lynch sta posizionando le pedine per un Big Crunch non meno sconvolgente, che l’episodio 16 ha definitivamente messo in moto.
In questo lungo epilogo, Lynch non esita a porre nuove domande e rimettere tutto in gioco per l’ennesima volta. Dove (o come) si trova Audrey, e qual è il suo ruolo in The Return? Come dobbiamo interpretare quella bolla di (ir)realtà che è il Roadhouse, frutto apparente del sogno di un ignoto sognatore (come ci ricorda l’enigma di Monica Bellucci)? Che dire dell’uomo con il guanto verde, paradossale supereroe lynchano dalla forza irresistibile e il destino misterioso? O di Naido, la donna senz’occhi, altro tassello di un destino appena oltre la soglia?
Pedine, visioni, illusioni, mappe. Indizi per orientarsi in quel mare in gran tempesta che abbiamo intravisto all’inizio della stagione, poco prima del ritorno di Cooper nei panni di Dougie. Oltre la soap opera, oltre il cinema, oltre la serialità televisiva contemporanea e il fan service, Lynch e Frost sono pionieri di un’immagine totale che si muove nei tempi lunghi della televisione e della distribuzione digitale, senza esserne assoggettata. A fronte della potenza di certe immagini, molto del cinema contemporaneo e del transmedia storytelling delle grandi serie televisive si riduce a innocuo esercizio scolastico.
Quasi per ringraziare chi lo ha accompagnato fino a qui, Lynch ci dona alcune delle sequenze più gratificanti di tutta la sua carriera. Il commovente addio a Catherine E. Coulson, il ritorno di Cooper, la danza di Audrey... l’oscurità di Twin Peaks può ancora essere squarciata da lame di luce e di bellezza. Nulla scompare per sempre, e semmai cambia, come cambia Margaret quando annuncia il suo commiato con la vita. Senza paura di lasciarsi andare, i creatori di Twin Peaks ci invitano alla meraviglia e al cambiamento, senza nostalgia e senza paura di essere trasportati verso nuovi luoghi e nuove emozioni.