Atteso da molti come il possibile “film scandalo” di questa edizione della Mostra, Gerontophilia del canadese Bruce LaBruce prende in contropiede fan e critici con un racconto che ricorda Harold e Maude e Qualcuno volò sul nido del Cuculo e che potrebbe rappresentare un punto di svolta nel percorso artistico del suo autore.
Messo da parte il dittico porno-orrorifico composto da L.A Zombie e Otto; or, Up with Dead People, il “terrorista” dell’immaginario patriarcale torna dunque al cinema con un film in un certo senso pacificato, privo delle asprezze e delle provocazioni concettuali e visive che ne hanno contraddistinto la carriera, ma senza tuttavia rinunciare a mettere in discussione i principi normativi della società occidentale (monogamia, eterosessualità) attraverso la storia d’amore tra un ragazzo di 18 anni, Lake, attratto fisicamente dagli anziani (da qui il titolo del film) e un uomo afroamericano di 82 anni, Mr. Peabody, abbandonato dalla sua famiglia in un ospedale geriatrico fatiscente. Labruce, come detto, mette da parte il campionario di perversioni che lo hanno reso noto nello scenario underground, procede per allusioni, piccole situazioni ambigue colte sempre sul punto di esplodere ma che poi sfumano fuoricampo. Così facendo riesce ad aprirsi a un pubblico più vasto ma sconta una normalizzazione estetica che priva le sue immagini di un qualsiasi contenuto eversivo. I protagonisti continuano ad essere degli outsider, un po’ come gli zombie di L.A Zombie e Otto; or, Up with Dead People o i terroristi di The Raspberry Reich, corpi pericolosi da addomesticare e tenere sotto controllo, da inquadrare nel lavoro così come nella vita eppure qualcosa sembra essere cambiato, ora sono uomini in carne ed ossa con sentimenti chiari e aspirazioni in un certo senso “borghesi”, pur nella loro costitutiva diversità. Labruce scopre l’amore e lo mette in scena con una chiarezza espositiva e una linearità che spiazzano.
Esclusi quei pochi momenti nei quali la traiettoria della macchina da presa sembra deviare dal tracciato messo in piedi dal regista (uno di questi, è, non a caso, una sequenza onirica che ricorda il precedente L.A Zombie, con Lake che prima si aggira per i corridoi dell’ospedale e poi si prende “cura” del corpo ferito dell’uomo che ama) il resto appare lineare, a tratti persino buonista nella bidimensionalità dei caratteri e nella mancanza di autentica profondità che essi esprimono. Gli intenti sono come di consueto apprezzabili, e tra le pieghe del racconto è possibile rintracciare discorsi per nulla banali sull’amore e la sessualità nella terza età e sul ruolo degli anziani nella società contemporanea, eppure quello che manca a quest’opera è soprattutto la rabbia e lo spirito di ribellione che da sempre hanno animato lo sguardo dell’autore canadese. Tutto scorre liscio e prevedibile dentro binari paradossalmente rassicuranti (la serenità di fondo che caratterizza il rapporto tra i due, l’assenza di conflitti forti tra ragione e istinto, l’on the road come motivo narrativo), fino a una stanca conclusione che si vorrebbe provocatoria, nell’accettazione di una perversione difficilmente giustificabile, ma che invece risulta soltanto innocua in quanto svuotata dall’interno del suo potenziale contenuto scandaloso. Per usare una metafora politica potremmo definire LaBruce come quei vecchi politici extraparlamentari che dopo aver speso anni della loro vita a condurre battaglie fuori dal palazzo scelgono la via riformista. Come insegna l’esperienza di tante formazioni politiche però non si può essere contemporaneamente di lotta e di governo e quasi sempre per far parte del sistema bisogna rinunciare alle posizioni più estreme, correndo il rischio di snaturarsi. Il lungo applauso del pubblico alla fine della proiezione suona, in questo senso, come un triste presagio.