The Lodge
I registi di "Goodnight Mommy" tornano ai temi a loro cari con un horror estremamente rigoroso ma più convenzionale.
Una casa isolata, due fratelli vendicativi, una giovane donna instabile e dal passato oscuro. A elencare così immagini e personaggi presenti in The Lodge parrebbe quasi che i registi austriaci Veronika Franz e Severin Fiala non abbiano fatto altro che riadattare, in occasione della trasferta statunitense, il loro precedente lavoro, Goodnight Mommy, apportando variazioni minime per renderlo più adatto alle logiche produttive d'Oltreoceano. D'altronde, in questa storia che parte (ancora una volta) dal trauma e dal lutto per addentrarsi nei territori della follia e dell'orrore, pare innegabile che i temi portanti del precedente film prodotto da Ulrich Seidl (zio di Fiala e marito della Franz) e applaudito nei festival di mezzo mondo siano ancora tutti lì, così come innegabile è il senso di ambiguità perenne che pervade anche questa nuova vicenda.
Ma se Goodnight Mommy era soprattutto un dramma disturbante, una tragedia innestata a forza nelle dinamiche dell'horror, dove la violenza esplodeva in maniera tanto sorprendente quanto destabilizzante, qui, nella cronaca allucinata della convivenza forzata tra due ragazzini e la loro matrigna in una sperduta casa di montagna, i registi sembrano voler diluire in parte la loro vena autoriale abbracciando più compiutamente il genere puro. Ecco che allora le suggestioni, appena suggerite nel film precedente, diventano qui più immediate ed esplicite, dalla storia di fantasmi e case infestate, con annessi echi e rimandi a film recenti come Hereditary di Ari Aster (la casa delle bambole, le dinamiche famigliari), alla collisione di differenti piani di realtà, il tutto a delineare un mondo dove la verità è più che mai incerta, confusa inestricabilmente con l'allucinazione e (forse) con il soprannaturale, in un vortice paranoico dove non si può che dubitare di tutto e tutti.
È proprio attraverso questi continui ribaltamenti di prospettiva, false piste che si perdono in spazi gelidi e paesaggi (interiori?) in bilico tra dimensioni purgatoriali alla The Others e disagio psichico, che lo spettatore viene chiamato in causa, messo al centro di un conflitto in cui non sa più da che parte stare, incapace come i personaggi di distinguere, tra quelle immagini da incubo, ciò che è vero da ciò che non lo è. Nel mezzo di questa indeterminatezza, una casa che è un mondo a parte, uno spazio scandagliato lentamente ma inesorabilmente dai movimenti rigorosi e geometrici della macchina da presa, specchio di una storia cinica e glaciale intrisa di un nichilismo senza speranza.
The Lodge si dimostra così essere un contenitore perfetto per gli incubi ricorrenti dei suoi autori, dal trauma del rimosso alla fascinazione dell'infanzia per il Male, passando per l'assenza assordante di figure paterne. Un impianto magistrale che però resta in bilico tra le esigenze più immediate dell'horror e una visione autoriale non del tutto capace di scendere a compromessi proprio con quel genere cui vorrebbe pienamente aderire.