Vol Spécial

Fernad Melgar, regista svizzero di origini spagnole, aveva già raccontato le difficili condizioni dei richiedenti asilo in Svizzera nel documentario La Fortesse, vincitore del Pardo d’Oro a Locarno; con Vol Spécial riesce ad entrare con la macchina da presa nel centro di detenzione amministrativa di Frambois, a Ginevra, dove raccoglie le testimonianze dei molti stranieri qui rinchiusi, che nella maggioranza dei casi non hanno commesso alcun crimine e sono stati imprigionati senza processo né condanne. Frambois infatti ospita sia clandestini che richiedenti asilo che – nonostante rischino la vita in patria a causa di persecuzioni religiose e conflitti etnici – hanno visto rifiutare la propria domanda; ma anche persone stabilitesi in Svizzera da decenni, che lavorano, pagano le tasse regolarmente e hanno una famiglia da mantenere, sono state improvvisamente portate qui in quanto reputate dalle autorità immigrati irregolari.

La detenzione può durare fino a due anni, quindi queste persone hanno due possibilità: tornare al proprio paese d’origine con un volo regolare, se accettano di essere immediatamente rimpatriate, oppure farlo a bordo di uno dei cosiddetti “voli speciali”, nel caso si oppongano. In cosa consista un “volo speciale” viene presto chiarito: gli immigrati vengono qui non solo ammanettati, ma legati con ogni sorta di cinghie e costretti ad indossare un elmetto, trattati cioè alla stregua di criminali violenti e pericolosi, senza che nulla di fatto giustifichi una scelta tanto estrema da parte delle autorità, che agiscono in maniera arbitrariamente violenta. Questo procedimento non è solo estremamente e vergognosamente lesivo della dignità di queste persone, ma realmente pericoloso per la loro incolumità fisica: un ragazzo nigeriano, ospite di Frambois, è morto infatti nel 2010 durante uno di questi rimpatri forzati, e si tratta peraltro del terzo caso di morte a seguito del trattamento subito sui “voli speciali”.

L’assurdità di questo mondo, dove impunemente e tuttavia legalmente ogni giorno vengono calpestati i diritti di molte persone che non hanno la possibilità di difendersi, viene portata alla luce e condannata grazie al lavoro di Fernand Melgar, discreto e rispettoso di fronte ai detenuti di Frambois quanto deciso e inflessibile nella sua volontà di denuncia. Il regista lascia parlare i fatti, così macroscopici da non necessitare di ulteriori spiegazioni. La quotidianità di questi immigrati, che vivono sospesi in un limbo senza sapere se e quando verranno rimpatriati e dovranno abbandonare le proprie famiglie, è descritta con tatto e attenzione.

Il fatto che gli operatori di Frambois appaiano come persone comprensive e forse anche sensibili non basta a riscattare il nostro Occidente, dove degli innocenti vengono imprigionati e trattati come assassini ma si ipotizza di fornire un avvocato agli animali maltrattati, come legge sul giornale, ridendo con amarezza, uno dei detenuti del centro, consapevole di contare letteralmente meno di un animale per la autorità svizzere.

In Italia il film ha trovato un canale distributivo grazie a ZaLab, laboratorio video e casa di produzione molto attenta alle tematiche dell’immigrazione e dell’integrazione culturale, che ha prodotto, tra le altre cose, il documentario di Andrea Segre A Sud di Lampedusa, che racconta il percorso dei migranti africani attraverso il loro continente fino alle porte dell’Europa. Vol Spécial ha dunque una rilevanza non solo cinematografica, per così dire, ma soprattutto sociale e politica, poiché si fa interprete dell’urgenza di testimoniare e denunciare una realtà che non può e non deve essere ignorata. Quello dei “voli speciali” – prassi “amministrativa” rispetto alla quale fortunatamente non sono mancate opposizioni e critiche a causa delle modalità brutali con cui i “passeggeri” vengono trattati – è un piccolo ma significativo esempio di come l’Occidente abusi costantemente e pericolosamente del proprio potere, a scapito – in questo caso – di singole persone in condizioni di debolezza e svantaggio economico e sociale.

Autore: Arianna Pagliara
Pubblicato il 19/08/2014

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