Questo mondo non mi renderà cattivo
Zerocalcare torna con una nuova serie animata confermandosi maestro nell'affrontare con apparente leggerezza i dilemmi fondamentali di una generazione in crisi
A un anno e mezzo dall’uscita della sua prima serie animata per Netflix, Strappare lungo i bordi, Zerocalcare torna con un nuovo progetto audiovisivo e rischia forte. Un azzardo paradossale perché derivante dalla formula stilistica che ha decretato il successo definitivo del fumettista romano. Ora, non possiamo dire che Zerocalcare piaccia in Italia proprio a tutti – per motivi politici e no – ma è chiaro che oramai una vastissima platea di lettori e spettatori lo stima e lo considera una delle figure artistiche più godibili e oneste degli ultimi anni. Da qui il pericolo di adagiarsi passivamente in una formula espressiva oramai ben rodata nel suo calibratissimo mix di ironia e serietà.
Questo mondo non mi renderà cattivo riesce però a evitare l’ostacolo in un modo del tutto peculiare: da una parte supera la naturale autoreferenzialità dell’autore facendosi opera corale, dall’altra esaspera in modo deciso la sua abilità di esprimere i concetti tramite le immagini.
La storia parte ancora una volta dalla fine, sviluppandosi a ritroso tramite una serie di flashback; i personaggi principali, oltre a Zero stesso, sono sempre i suoi amici storici Sarah e Secco – il quale può oggi vantare una fanbase tutta personale – e la zona dove si svolgono i fatti è Roma Est. Ma stavolta l’autore sembra volersi calare più nel ruolo di interlocutore che in quello di protagonista, lasciando ai suoi comprimari i monologhi più importanti della serie. Il discorso difatti si è reso collettivo perché comune è il baratro su cui traballano in sospeso le persone che orbitano intorno a Calcare. Tra queste spicca in particolare Cesare, amico della giovinezza con un passato da eroinomane che torna dopo vent’anni di assenza in una città che non lo riconosce come non lo riconosce lo stesso Zero, sorpreso e deluso dalla sua inaspettata adesione alla lotta fascista contro l’insediamento nel quartiere di un centro di accoglienza per trenta rifugiati libici.
La storia di Cesare, emarginato in quanto ex tossicodipendente, diviene il paradigma di una domanda a cui la serie sceglie di rispondere con un’analisi a tuttotondo: cosa fare della rabbia sociale degli innumerevoli invisibili, falliti a metà o del tutto, sprofondati nell’abisso e lasciati indietro da quelli che sono riusciti a costruirsi una vita decente malgrado l’odierna crisi economica? Le posizioni sono diverse e variamente considerate da Zerocalcare, il cui senso di colpa atavico per essere divenuto un’eccezione, l’unico che fra tutti ce l’ha fatta, lo spinge ad accogliere in modo quasi supino ogni punto di vista. Se Cesare, in assenza di un risarcimento esistenziale, vuole che nemmeno gli altri invisibili abbiano quello che gli è stato negato – cura, accoglienza, ascolto – Sarah sembra pronta a rinnegare i propri ideali per riuscire a mantenere il lavoro dei sogni che finalmente le permetterebbe di fare quel fatidico passo avanti nella vita.
Da una parte c’è in questo l’accettazione oltre ogni giudizio personale delle storie intime di ognuno; dall’altra Questo mondo non mi renderà cattivo delinea in maniera quasi caricaturale due modi opposti e manichei di vivere. Ci sono i buoni e ci sono i cattivi, ci sono gli antifascisti e i fascisti (che nella serie vengono rinomati “nazisti” per essere certi che il pubblico capisca il loro grado morale). I cattivi, semianalfabeti o viscidi affabulatori delle masse sono sempre stupidi, meschini ed egoisti. L'idea che se ne trae è che se non c’è possibile comprensione dell’altro senza una sospensione di giudizio, è però necessaria una finale presa di posizione forte, nonché una scelta di vita: accettare o meno la deformazione dell’anima che la società, storta e pesta, tenta di attuare costantemente dentro gli individui. Sarà Secco, personaggio di un’apparente testarda ottusità, a indicare la scelta faticosissima di non far pagare ad altri disgraziati la propria disgrazia.
La posizione politica, etica e personale di Zerocalcare è qui nettissima, come esplicito è il sentimento di trovarsi in una dimensione di devastazione sociale, fra macerie di vite accartocciate, abiure morali e risentimenti nascosti. Eppure la serie scorre veloce, ogni episodio regala momenti e frasi di totale divertimento: si avverte come il desiderio di alleggerire e semplificare il più possibile il discorso, e non solo per il cinico desiderio di piacere al pubblico pur parlando di cose “serie”. Piutosto, c’è in Questo mondo non mi renderà cattivo, un’esigenza veramente fortissima da parte del suo autore di essere compreso. Non a caso Zero scherza sulla ricorrente polemica mediatica inerente alla sua dizione troppo dialettale e oscura al resto di Italia perché farcita da continue espressioni tipiche dello slang romanesco; la paura di non farsi capire porta la storia a essere quasi costantemente interrotta da metafore, parentesi nonché reiterati rimproveri della sua coscienza – l'Armadillo doppiato da Valerio Mastandrea – di essere noioso e ridondante nelle sue ripetute spiegazioni minuziose di ciò che vuole dire. Calcare vuole dire qualcosa, e ci tiene moltissimo a farlo nel mondo più chiaro, al punto tale da produrre a un ritmo incalzante similitudini e immagini prese da ogni contesto possibile, dalla mitologia greca alla citazione pop, a sostegno della propria espressione artistica. Ne risulta un messaggio che reso solo in forma verbale sarebbe forse, a detta dello stesso Armadillo, insopportabile: un lungo flusso di coscienza attraversato da più voci, ripetutamente accartocciato su sé stesso sotto il peso di mille dubbi morali, sensi di colpa, e la percezione di una voragine pronta a trascinarsi tutto ciò che ancora sopravvive illeso malgrado tutto. Ma con le sue immagini Questo mondo non mi renderà cattivo si fa opera divertente e infinitamente triste allo stesso tempo, confermando la mano sapiente di un autore che ormai sa come parlare al proprio pubblico.