Strappare lungo i bordi
Dimentichiamoci il pessimo adattamento cinematografico, questo è Zerocalcare fedele a sé stesso e davanti a un punto di svolta.
A dieci anni dall’uscita del suo primo libro, La profezia dell’armadillo (prima autoprodotto da Makkox, poi edito da Bao Publishing), l’arrivo online di Strappare lungo i bordi, serie scritta e diretta da Zerocalcare per Netflix, appare come la definitiva affermazione di un artista oramai fondamentale nella scena culturale italiana. In fondo nessuno ne dubitava – a parte lo stesso autore – dato che è evidente il postulato per cui qualunque cosa esca dalle mani di Michele Rech non può che diventare un successo. La sua popolarità deriva da un mix di fattori diversi: l’estrema ironia unita a uno sguardo penetrante su se stesso e gli altri, i continui rimandi ad un immaginario culturale e un vissuto esistenziale condivisi col lettore, e una credibilità di fondo dovuta al legame mai sconfessato con le lotte e gli ideali politici e sociali dei centri sociali dove Rech è cresciuto. Ogni volta che la fetta di pubblico di Calcare si allarga in conseguenza del suo crescente successo – dal blog di fumetti al libro candidato al Premio Strega fino dagli episodi di Rebibbia Quarantine trasmessi in tv su Propaganda Live – incombe su di lui strisciante la minaccia che pesa su ogni artista underground divenuto famoso: l’accusa di essersi svenduto, di aver perso contatto con i propri valori. Eppure il fumettista romano regge la botta, si mantiene saldo, non perde un colpo.
Strappare lungo i bordi è la summa del lavoro creativo di Zerocalcare, in un certo senso un punto di arrivo e forse anche di svolta. Innanzitutto perché l’autore, finora testardo creatore esclusivo delle proprie opere, è stato doverosamente costretto ad affidarsi a un complesso team di animatori per una produzione che ha richiesto centinaia di persone. In secondo luogo, il passaggio da una storia su carta a un racconto d’animazione ha generato una stratificazione di livelli visivi e narrativi che rende la serie sia profondamente piacevole quanto complessa. Non ci si stupisce che sia rapidamente divenuta la serie Netflix più vista in Italia: è assai probabile che chiunque la veda sia spinto a rivederla almeno una seconda volta anche solo in virtù dell’esigenza di cogliere tutti gli infiniti easter eggs, riferimenti, dettagli nascosti che possono sfuggire a una prima visione. Ma per quanto al momento la rete sia già ingombra, per non dire satura, di screenshot, meme, citazioni delle sequenze più belle e delle battute più divertenti (con la relativa assurda polemica sull’uso del dialetto romano nella serie) sarebbe piuttosto riduttivo ascrivere il successo di Strappare lungo i bordi alla sua godibilità. Di fatto il suo valore si fonda soprattutto sulla capacità di definire un momento storico con un’audacia proporzionata alla sua disperazione, perché una volta assimilata l’ironia e l’acutezza delle riflessioni di Zerocalcare ci si trova di fronte, a un livello più profondo, a un racconto assai più cupo, rassegnato e malinconico di quel che ci si aspetterebbe.
D’altra parte fin dalla Profezia Zerocalcare ha mostrato questo duplice lato fatto di divertimento e pessimismo, e non è un caso che Strappare lungo i bordi ricordi suo malgrado proprio la prima opera dell’autore romano. Il punto di partenza rimane difatti la perdita di una persona amata, raccontata pur fra mille buffe digressioni sul vivere quotidiano e la personalità del fumettista. Nella serie si tratta di Alice, amica del giovane Calcare, mentre nel fumetto si chiamava Camille, ma qui non conta definire la veridicità della sua identità e storia reale; ciò che preme è riconoscere l’importanza di questo personaggio all’interno di un racconto di vita corale che arriva a comprendere un'intera generazione.
La generazione di Zero, Alice, Secco e Sarah non è immediatamente definibile a livello anagrafico. Sono perlopiù le persone nate fra gli anni Ottanta e Novanta, ma un pubblico più maturo potrebbe comunque riconoscersi nelle loro speranze e delusioni. Ciò che li accomuna è il fatto di essere stati i diretti interessati di una sorta di promessa collettiva non mantenuta: gli ultimi a credere, durante la loro giovinezza, di poter ambire da adulti a uno stile di vita che la crisi economica e lavorativa degli ultimi quindici anni ha poi negato. Questa fiducia di poter aspirare a una stabilità esistenziale, appunto quello strappare lungo i bordi che avrebbe dato vita alla persona che si voleva essere da giovani, è stata spazzata via in poco tempo. Al suo posto ha trovato spazio un complessivo vivere alla giornata fatto di scelte improvvisate, o non scelte in toto, che è forse il codice ideale per interpretare realmente ciò che rimane sedimentato sul fondo dell’opera di Zerocalcare una volta digerite le battute saporite e le gag geniali. In poche parole, il fallimento di una generazione, che può confidare oramai solo sul calore degli affetti e delle cose belle per chi è abbastanza fortunato da averne; e il definitivo collasso per chi invece non trova suo malgrado margini di appiglio.
Ci sarà chi protesterà per questa visione così negativa e pessimista, ricordando ben altre lotte generazionali, e lamentando la debolezza e mancanza di iniziativa di questi giovani non più giovani che si piangono addosso ottenebrandosi la mente a fuori di droga, merendine, internet e serie tv consumate in modo bulimico; d’altra parte lo stesso Rech non ha mai spesso di appoggiare ogni lotta attiva dal basso per apportare un minimo di benessere alla collettività. Ciò non toglie che il suo lavoro descrive senza giudicare come stanno le cose oggi, senza drammatizzare né deresponsabilizzarsi. È proprio andata così, questa è la verità, e chiunque riesca a raccontarlo con onesta, dolorosa lucidità, merita quel primo piano nella scena culturale italiana che ormai appartiene di buon diritto al fumettista romano.