The Boys
Il cinecomic televisivo secondo Amazon, una convincente rilettura della decostruzione supereroistica aggiornata alle dinamiche social dell'era digitale.
I supereroi sono ovunque. Al cinema, in edicola, tra gli scaffali dei giocattoli, nelle confezioni dei cereali. Li troviamo in casa nostra, alla TV, o come forme poligonali delle nostre fantasie digitali. Una mitologia pop pervasiva, anche troppo, che da tempo ha sviluppato i propri anticorpi in una ricca serie di parodie, critiche e decostruzioni. A corrodere la maschera di vigilanti in costume e superuomini disumani ci hanno già pensato Alan Moore, Frank Miller e molti altri; tra questi, troviamo anche il britannico Garth Ennis, che ha scritto il fumetto Preacher e, appunto, The Boys.
Dopo Preacher, anche The Boys gode di un adattamento web televisivo, distribuito ancora una volta da Amazon Prime Video. I Boys sono una squadra sgangherata che si occupa di lottare in segreto contro i supereroi e unita da un desiderio di giustizia o, più spesso, di vendetta. I supereroi tendono, in questo universo immaginativo, a militare tra le file dei cattivi. Molti di loro sono corrotti dall'eccesso di potere e di celebrità, mentre la loro immagine pubblica è attentamente costruita e controllata da dipartimenti di marketing e social media manager. I più famosi tra essi sono i Sette, eroi di interi generazioni e salvatori della patria con molti scheletri nell'armadio. Le vittime dei "danni collaterali" o delle brutalità dei supereroi sono costrette al silenzio o ai margini della visibilità pubblica. Hugh (Jack Quaid) è uno di questi: la propria ragazza gli esplode letteralmente tra le mani. "Hughie" viene reclutato da Billy Butcher (Karl Urban) per vendicarsi del torto subito; Billy è convinto che tutti i supereroi siano pericolosi e che vadano eliminati, ma la questione si complica quando Hugh si innamora di Starlight (Erin Moriarty), ragazza giovane e idealista che è appena entrata a far parte dei Sette.
The Boys, al netto di qualche difetto di scrittura, funziona. Funziona, prima di tutto, perché è ben confezionata e si attesta su una qualità visiva e un livello produttivo elevati. La scelta degli attori è tra le migliori che si potessero concepire; in particolare, Karl Urban e Antony Starr (nei panni dell'inquietante Homelander) danno alla serie un valore aggiunto inestimabile con le loro interpretazioni. La decostruzione dell'epica del supereroe non è, invece, nulla di nuovo, né lo sono l'umorismo nero o gli eccessi di violenza che contraddistinguono la serie (e che sono comunque temperati rispetto ai parossismi del fumetto). Se si trattasse solo di questo, potremmo definirla come una serie innocua e tornare all'azione sanguinosa di Preacher, alla comicità sguaiata di The Tick oppure ai film di Watchmen, Hancock o Kick-Ass.
Piuttosto, The Boys punta ad aggiornare questo discorso a dinamiche a noi più vicine, adattando il fumetto di oltre dieci anni fa ad un racconto televisivo adeguatamente ripensato per il nuovo formato e le dinamiche dei social network dei tardi anni Dieci. Non è un caso, per esempio, che la tetra multinazionale che sponsorizza i Sette ricordi molto da vicino la Walt Disney Company che, ricordiamo, ha assorbito Marvel nel 2009. Nè sorprende che i Sette siano così simili a personaggi che ben conosciamo, come Superman, Capitan America, Daredevil o Aquaman. Buona parte della trama ruota attorno a indici di gradimento, engagement sui social media, lobbismo a livello politico e militare, manipolazione dell'opinione pubblica. Ad esempio, quando Starlight prova a salvare una ragazza da una violenza sessuale, viene punita perché nessuno ha filmato l'evento in modo da garantirle un ritorno d'immagine. Un'altra eroina, Queen Maeve (Dominique McElligott), le confessa che non si ricorda nemmeno più l'ultima volta in cui ha davvero salvato la vita di qualcuno. L'eroismo, qui, è una questione pubblicitaria.
Questo è il mondo di The Boys: un mondo dominato dal denaro, cinico, pragmatico. I supereroi sono solo degli uomini con passioni e difetti molto umani, con un potere enorme a loro disposizione. Del mito, qui, resta solo l'asimmetria di potere tra chi sta in cima all'Olimpo e le masse brulicanti alle sue pendici. Forse, il punto più alto toccato dalla serie arriva nel momento in cui fa convergere la retorica teocon americana con la vocazione messianica dei supereroi, uomini toccati dalla "grazia" di un potere apparentemente inspiegabile. Esaltati da preghiere e scenografie religiose, i supereroi diventano i santoni e predicatori di un'America confusa e adorante. Ma la serie tocca da vicino molti altri temi difficili, dal movimento #MeToo alla politica estera statunitense in Medio Oriente, con esiti non sempre impeccabili ma mai banali.
Più in generale, la serie sorprende e dà il suo meglio quando mette in scena, e demolisce, la società che ha prodotto e che sembra avere sempre più bisogno di eroi, super o tradizionali. Non tutti i temi e i protagonisti riescono ad essere adeguatamente sviluppati nel corso delle prime otto puntate, ma è molto chiaro che i produttori hanno deciso di puntare da subito su una seconda stagione, già confermata, per sviluppare un arco narrativo ben più ampio. Va letta in questo senso la natura puramente funzionale di un finale di stagione che, in realtà, serve solo a porre ulteriori domande e stimolare la curiosità per ciò che verrà in futuro: in questo senso, The Boys ottiene il risultato sperato.