La ferrovia sotterranea
La serie tv di Barry Jenkins sprofonda nel passato sanguinoso dell'America schiavista, scoprendo nell'inconscio bianco americano un violento sentimento di paura verso i neri messi in catene.
Nel 2016 usciva in America La ferrovia sotterranea, il sesto romanzo di Colson Whitehead che gli valse il suo primo Premio Pulitzer per la narrativa (il secondo, per I ragazzi della Nichel, sarebbe arrivato nel 2019), oltre che il National Book Award e l'Arthur C. Clarke. Era il racconto di come negli anni della schiavitù afroamericana si fosse sviluppato un gruppo clandestino di soccorso agli schiavi tramite una rete di percorsi e rifugi che ne proteggeva la fuga dagli stati schiavisti. Il fatto è che in realtà concretamente non esisteva nessuna vera Ferrovia, malgrado le persone coinvolte adottassero una terminologia ferroviaria per definire luoghi e agenti. Eppure nel libro Whitehead sceglie di concretizzare la metafora e immagina un vero cunicolo di binari sotterranei lungo i quali la protagonista Cora scappa dalla piantagione dove è cresciuta sola e abbandonata a dieci anni da una madre anch’essa in fuga. Dalla Giorgia passa, fra mille peripezie, prima per la Carolina del Sud, la Carolina del Nord e via via fino in Indiana: ogni Stato è una faccia diversa del rapporto fra schiavi e coloni americani.
Già solo un mese dopo la pubblicazione del libro fu assegnato a Barry Jenkins il compito di adattarne una serie tv prodotta da Amazon Studios, ma le riprese iniziarono solo tre anni dopo, venendo anche interrotte per la pandemia: nel frattempo il regista aveva avuto il tempo sia di vincere un premio Oscar con Moonlight, sia di dirigere un altro film tratto dal romanzo di James Baldwin Se la strada potesse parlare. Lo stile consolidato di Jenkins insegue l’intensità delle immagini come veicolo di emozioni, richiede tempo per assimilarne la ricchezza di significati; la struttura seriale gli è dunque di aiuto nello sfruttare proprio questo tempo. Ad ogni luogo visitato da Cora è dedicato almeno un episodio intero (in tutto sono dieci episodi di varia durata) col corrispondente cambiamento di atmosfera, luci, colori e personaggi. D’altra parte il budget offerto da Amazon ha permesso la massima cura di ogni dettaglio, al punto tale che rispetto al romanzo la serie si concede anche sequenze inedite, voli di fantasia che espandono il racconto.
Man mano che Cora attraversa le diverse stazioni della ferrovia diventa chiaro che se la metafora in La ferrovia sotterranea si fa materiale, tutta la storia è una similitudine di quella emozione viscerale presente negli animi degli schiavisti, che il racconto rintraccia però non nell’avida brutalità ma nella paura. Malgrado diverse reazioni difensive fatte di volta in volta di teorica superiorità razziale o di celebrato progressismo tollerante, i personaggi bianchi sembrano intuire inconsciamente il peccato originale su cui è fondato il loro paese e di conseguenza la propria colpevolezza. Ogni risposta, violenta o ipocritamente garbata, si basa sul timore che il numero delle persone di colore aumenti, cosa peraltro prevedibile in un sistema che può solo trarre benefici da una grande quantità di manodopera gratuita. Ne La ferrovia sotterranea il corpo nero viene torturato, sterilizzato, controllato perché non possa prendere libere iniziative, dal far figli allo scegliere con chi unirsi fisicamente, perché si teme la sua rivalsa e vendetta sull’uomo bianco. Questa paura verso l'esterno combacia col terrore interiore di vedersi veramente riconoscendo l'orrore delle proprie azioni: quasi tutti i personaggi bianchi mentono a se stessi e agli altri, raccontandosi come buoni, indulgenti, giustamente severi e biologicamente migliori.
Il rischio di indulgere in una modalità narrativa sullo schiavismo facilmente assimilabile allo stereotipo di una cattiveria bianca verso l’innocenza nera viene scongiurato da una serie di personaggi di colore che si adattano al contesto in maniera più conciliante, in particolar modo Homer, il piccolo aiutante liberato dal cacciatore di schiavi Ridgeway, che sceglie liberamente di continuare a servire l’uomo. La miriade di ruoli presenti nella serie racconta le diverse visioni dietro le esperienze del piegare e del farsi piegare: si domina picchiando o limitando le possibilità riproduttive dei neri, si fugge apertamente in conflitto col padrone o lo si asseconda con fare umile e rispettoso. Non c’è una sola, univoca storia di oppressione, e grazie allo spazio temporale permesso dalla serialità Jenkins può descrivere più caratteri fornendo uno sguardo d’insieme sfaccettato e dinamico.
Non a caso la ferrovia diviene reale, un sotterraneo attraversamento delle viscere d’America che evoca una penetrazione profonda entro l’anima travagliata del paese. La ferrovia sotterranea scava letteralmente sottoterra, ricavandone gli infiniti cadaveri della storia americana che con ogni tentativo sono stati nascosti e messi a tacere dai bianchi. Ma i morti non rimangono tali, e dalle stesse profondità della terra continuamente riemergono grazie alla voce di chi è riuscito a sopravvivere e rimanere alla luce: un peccato originale che può essere espiato solo tramite il suo racconto.