Archive 81 - Universi alternativi
Prodotta da James Wan e tratta da un podcast scifi, è una serie che arricchisce la linea weird dell'archivio Netflix ma disfa strada facendo il suo potenziale.
Era il 2014 quando negli USA, sull'onda del boom di ascolti ottenuto dal seminale true crime Serial, il podcasting è diventato - a tutti gli effetti - un vero e proprio fenomeno di massa, trasformando una pratica amatoriale di nicchia in una gamma di prodotti autoriali di alto profilo, in grado di catturare l'attenzione degli spettatori e competere ad armi pari con le serie tv di maggior richiamo. Nato grazie alle disponibilità offerte dal web come un'evoluzione tecnologica del linguaggio radiofonico - da cui ha ereditato la forza evocativa, il carattere immersivo, l'agilità di fruizione - e forte della proliferazione di nuovi devices che ne hanno moltiplicato le possibilità di ascolto, l'universo dei podcast è riuscito a guadagnarsi - in breve tempo - un ruolo di spicco nell'ambiente dell'entertainment, tanto da presentarsi come la nuova frontiera dello storytelling dell'era crossmediale: un serbatoio di idee, competenze ed intuizioni narrative da cui poter attingere all'occorrenza, come era già accaduto in precedenza con altre forme di intrattenimento come libri, fumetti e videogames. La conseguenza diretta di questa rivoluzione si è tradotta nella tendenza degli ultimi anni a produrre film e serie tv ispirate a podcast estremamente popolari - l'episodio italiano di Veleno è emblematico - raccogliendo consensi sia da parte del pubblico generalista che della critica specializzata. Si tratta di un risultato eclatante, reso possibile solo in virtù del sostegno e della lungimiranza dimostrati da colossi dello streaming come Netflix e Prime Video e da emittenti televisive del calibro di HBO e FOX, che hanno intuito il potenziale di queste nuove risorse a disposizione.
Uno degli ultimi esempi, in ordine cronologico, è il recente successo dell'adattamento televisivo di Archive 81 - Universi alternativi: un'intrigante docu-serie thriller/scifi creata nel 2015 da Daniel Powell e Marc Singer - due podcaster indipendenti con una passione per i casi irrisolti e i fenomeni inspiegabili - che dopo aver destato grande scalpore in rete, ha debuttato con l'omonima serie tv targata Netflix, presentandosi come una delle novità più interessanti del palinsesto streaming all'inizio del 2022.
La prima stagione, prodotta dalla celebre showrunner americana Rebecca Sonneshine (The Vampire Diaries, The Boys) e dall'acclamato regista horror James Wan (The Conjuring), è un “giallo” di matrice cosmica ed esoterica che si sviluppa nell'arco di otto intensi episodi, ambientati tra il 2021 e il 1993, in cui vediamo alternarsi i due personaggi principali della storia nel ruolo di co-protagonisti. Infatti, da una parte - nel presente - assistiamo al lavoro meticoloso dell'archivista Dan Turner (Mamoudou Athie), ingaggiato da un ambiguo magnate di una multinazionale per restaurare e digitalizzare una misteriosa serie di VHS, occultate in seguito a un incendio avvenuto trent'anni prima. Dall'altra - nel passato - spiamo i gesti e le azioni quotidiane della giovane studentessa di antropologia Melody Pendras (Dina Shihabi), impegnata - prima della sua scomparsa - nella realizzazione di un documentario sulle leggende urbane che circondano un sinistro edificio dell'East End di New York, dove sembra annidarsi una presunta setta segreta dedita al culto di divinità pagane. Costruita impiegando stili differenti - dal found footage al mockumentary - la storia è imperniata sulle indagini - diverse ma complementari - condotte a distanza dall'insolita coppia di videoamatori intrappolati tra due mondi, separati da un divario tecnologico difficile da colmare ma destinati a risolvere “insieme” il rebus che si annida tra le immagini sfocate di un inquietante nastro magnetico, pronto a spalancare le porte della percezione a chiunque riesca a decifrarlo.
L'aspetto più riuscito della trasposizione televisiva di Archive 81, in termini d' attenzione, risulta la strategia di adottare una narrazione tipicamente postmoderna, volutamente allusiva, articolata su più livelli, grazie alla costruzione di una dimensione smaccatamente metalinguistica e intertestuale. Si tratta di un meccanismo in grado di mescolare una lettura “presente” (seguire ciò che dice/mostra la serie) a un'azione “memoriale” (riconoscere il già detto/già visto), innescando un meccanismo di inclusione del passato nel presente che fa leva continuamente sul sentimento di partecipazione dello spettatore, sulla base delle sue competenze di fruitore e di interprete. Così ad esempio, di fronte all'archivio di citazioni cinematografiche disseminate nel corso di ogni episodio – dalle più inflazionate come Shining e La notte dei morti viventi alle più sofisticate come Solaris e Il prigioniero del terrore, fino alle incursioni pop del tutto inaspettate de Il segreto di Nihm – il piacere della visione varia sensibilmente tra uno spettatore in grado di connettere la serie alle pellicole cui si ispira più o meno dichiaratamente, e uno spettatore meno “attrezzato” che invece limita il processo di visione e interpretazione agli elementi diegetici. In entrambi i casi il funzionamento della serie non appare compromesso, almeno in apparenza, perché il problema di fondo di Archive 81 risiede nella mancanza di originalità e genuinità di questo tipo di operazione, che, dissimulata e aggiornata a una nostalgia mediale traslata dagli anni ottanta alla decade successiva, non riesce mai davvero a smarcarsi dall'effetto Stranger Things, crogiolandosi in un feticismo anacronistico nei confronti di un'(altra) epoca già vissuta.
Così, nonostante il concept alla base della storia funzioni e l'utilizzo di una tecnologia ritenuta obsoleta come medium tra diversi piani di realtà sia indubbiamente affascinante (sebbene l’idea sia stata già trattata, e meglio, da Frequency) dopo i primi episodi questi elementi, al posto di essere sviluppati come sarebbe stato lecito aspettarsi, vengono relegati al margine dell'azione in favore di un canovaccio di formule, schemi e soluzioni visive ampiamente riciclati da serie televisive che hanno rivoluzionato effettivamente il piccolo schermo attraverso il genere, come The Twilight Zone e X-Files. Ed è davvero un peccato, perché date le premesse, quello che manca del tutto a un prodotto come Archive 81 sono proprio il coraggio e la maturità per portare alle estreme conseguenze il discorso iniziale che, purtroppo, resta solo abbozzato. Mi riferisco alla possibilità di indagare le proprietà spettrali delle immagini analogiche e digitali dietro lo schermo, di approfondire le implicazioni legate alle infezioni che affliggono lo sguardo dello spettatore (cosa si sta guardando/chi sta guardando), di interrogarsi sull'impatto con cui la "mediamorfosi" - ancora in atto - nella nostra società abbia cambiato drasticamente le nostre abitudini e il nostro modo di relazionarci in senso antropologico e culturale. Eppure, volendo ampliare l'analisi , gli esempi a cui potersi (ri)connettere non mancavano: pensiamo alle riflessioni tecno-filosofiche vivisezionate nel cinema che va da Videodrome a Strade perdute passando per Niente da nascondere di Haneke, fino ad arrivare alla saga di The Ring nella sua incarnazione giapponese e hollywoodiana. Questa incapacità di osare di più, risulta ancora più evidente se confrontiamo Archive 81 ad altre serie tv acquisite e/o distribuite da Netflix, come Black Mirror, Midnight Mass ed Hellbound, capaci di scolpire il loro tempo senza arrendersi al monopolio della nostalgia.
Al contrario, Archive 81 non riesce a resistere alla tentazione febbrile di guardarsi alle spalle, rifugiandosi in un passato qualsiasi, confezionato su misura, a seconda della moda in voga al momento, nel caso specifico il ritorno degli anni novanta. Tant’è vero che è difficile, arrivati all'ultimo episodio della serie, mentre la televisione annuncia la morte di Kurt Cobain, non avvertire un senso di smarrimento simile a quello dei protagonisti, incastrati nell'ennesimo loop temporale e costretti a rivivere all'infinito la stessa situazione, come se non esistesse un domani. Se questa è la premessa per una seconda stagione l'unica risposta possibile è l’uscita diretta dal loop: “no grazie, abbiamo già dato”.