Come to Daddy
L'esordio dietro la macchina da presa del produttore Ant Timpson ha il sapore dei suoi horror più riusciti, ma con una marcia in più. Grazie anche all'apporto di un Elijah Wood al suo meglio.
Scorrendo le filmografie dei due principali nomi dietro a Come To Daddy, pare quasi inevitabile che le strade di Elijah Wood e Ant Timpson – alle spalle già un'amicizia decennale e la co-produzione del grottesco The Greasy Strangler – fossero destinate a incrociarsi definitivamente. Perché nel percorso dell'ex star de Il signore degli anelli, un viaggio sempre più immerso nell'underground tra titoli improbabili e qualche piccolo cult (Cooties, Maniac), c'è lo stesso spirito presente nel lavoro del produttore neozelandese (qui alla sua prima regia), scopritore di talenti (uno su tutti, Taika Waititi) e spinta propulsiva per una manciata di film destinati, nel bene e nel male, a fare scuola (Deathgasm, The ABC's of Death, Turbo Kid).
Due anime, due esperienze, due differenti ma complementari modi di intendere l'horror, che si ritrovano in un film di opposti, capace di far coesistere orrore e commedia, alto e basso (illuminanti le citazioni iniziali di Shakespeare e Beyoncé), padri e figli.
È proprio da una vicenda di paternità negata e figli feriti e inadeguati che prende allora piede Come to Daddy, piccolo e imprevedibile horror venato di black humour su un trentenne fragile e spaesato (Wood) al suo primo, goffo tentativo di riconciliazione con quel padre (uno sboccato e alcolizzato Stephen McHattie) che lo ha abbandonato prima che nascesse.
Difficile dire di più sulla trama di un film che fa proprio dei colpi di scena e dei cambi di tono (ma anche di genere) il suo principale punto di forza, spaziando dalla dark comedy all'home invasion, dalla ghost story al thriller venato di torture porn.
È perfettamente immerso nel suo tempo, d'altronde, il film di Timpson, esempio di un cinema che sa bene da dove è venuto e cosa lo circonda (dalla più sfacciata serie b fino a prodotti più alti, come il The Lighthouse di Robert Eggers) ma che non rinuncia a sperimentare e a prendersi poco sul serio. Una tendenza tutta contemporanea, fatta di titoli come Mandy o il recentissimo Color Out of Space (non a caso entrambi prodotti dalla SpectreVision di Wood), dove la sorpresa, lo scarto e l'eccesso a ogni costo sono elementi imprescindibili ma da maneggiare con cura, nel tentativo di (ri)scrivere le regole di un genere in costante evoluzione, sempre pericolosamente in bilico tra cult potenziale e disastro assoluto.
Sadico, divertente, sopra le righe, Come to Daddy parte così come lo scontro generazionale tra due mondi inconciliabili per diventare presto tutt'altro, tra twist improvvisi, risvolti impensabili ed esplosioni di una violenza incontrollata, mentre Wood, sguardo stralunato d'ordinanza, fa egregiamente la sua parte e Timpson gestisce tempi e spazi con una maestria e un'esperienza notevoli per un (quasi) esordiente.
Il risultato è una pellicola sorprendente, capace di giocare su toni e registri con disinvoltura, un viaggio di (tarda) formazione stravolto dalla brutalità del mondo che mette in scena, nuovo tassello di un percorso che si promette di essere decisamente imprevedibile e poco convenzionale, proprio come i suoi due artefici.