2047: Sights of Death
Solo le vecchie glorie hollywoodiane sopravvivono all'apocalisse tutta italiana
Negli anni ruggenti del cinema popolare italiano, tra la fine degli anni Cinquanta e i primissimi anni Ottanta era pratica comune la produzione di film basati sul principio di sfruttamento intensivo di filoni che partivano come operazioni parassitarie e degradate di fenomeni di successo nazionale o da veri e propri plagi di modelli stranieri. Fu all’interno di questa politica che si sviluppò il cosiddetto cinema post-apocalittico italiano, manciata di film, diretti fra gli altri da Sergio Martino ed Enzo G. Castellari, costruiti attorno ai successi planetari di film oggi di culto come Interceptor e 1997: Fuga da New York. I film post-atomici di produzione italiana furono una decina, tutti realizzati tra il 1982 e il 1984. È dunque un evento quanto mai isolato l’uscita, a trent’anni esatti di distanza, di 2047: Sights of Death, film diretto da Alessandro Capone.
2047: Sights of Death mantiene intatte tutte le caratteristiche del sottogenere, muovendosi all’interno di un ambiente distopico devastato da una non ben definita catastrofe. Siamo per l’appunto nel 2047 e il mondo è dominato da un governo centrale contrastato però da un gruppo di ribelli, la GreenWar. Uno di questi guerriglieri è inviato dal capo Sponge a raccogliere delle prove per inchiodare il governo centrale, colpevole di genocidi e crimini efferati. Tuttavia ad intralciare la missione c’è il colonnello Asimov e un manipolo di mercenari senza scrupoli. La costruzione dei personaggi e il semplice canovaccio si muovono in simbiosi cercando a tutti i costi di aderire agli stilemi del filone. Il regista Capone non si concede mai alcuna licenza o divertissement che possa portare la pellicola a un livello più leggero.
2047: Sights of Death, infatti, si regge su una struttura semplice e solida. Lo scenario catastrofico, probabilmente per celare un budget comunque limitato, è introdotto soprattutto con una voce fuori campo. La riflessione sociale sull’apocalisse che il genere comporterebbe è pressoché assente nel film. Il mondo è distrutto, ma tutto sommato non c’è un vero motivo. Capone introduce fin dalle prime battute i buoni e cattivi, personaggi senza scrupoli che rimangono però piatti, privi di spessore. È un peccato perché il cast di celebrità sul viale del tramonto (Danny Glover, Rutger Hauer, Michael Madsen, Stephen Baldwin e Daryl Hannah) potevano aiutare a imbastire una sorta di pastiche, ponte di collegamento fra presente e il passato, fra l’oggi e gli anni Ottanta, decennio d’oro per questi attori ormai imbolsiti e per il filone ripiegatosi su se stesso per mancanza di linfa vitale. Il film rimane invece statico e fermo, ambientato in interni ripetitivi e senza mai un guizzo visivo e narrativo. Non pecca di correttezza formale, la trama, pur senza dosi massicce di sana adrenalina, rimane lineare e comprensibile dal primo all’ultimo minuto. Il film però manca di inventiva: se i vari Fulci, Castellari e D’Amato riuscivano a rimediare alla mancanza di budget cospicui con fantasia, coraggio e un pizzico di incoscienza, Capone si sforza solo di raccontare una storia che possa risultare facile da etichettare. Quello che insomma poteva essere come un’oasi nel deserto del cinema di genere italiano contemporaneo si rivela solo un’imitazione a basso costo di altri film a basso costo d’oltreoceano. 2047: Sights of Death, infatti, più che guardare con rispetto ai capostipiti del filone si rivolge ai prodotti tipici dedicati al mercato direct-to-video. Il film di Capone per la sua piattezza e per la mancanza di mordente potrebbe tranquillamente rientrare nel catalogo Asylum, casa di produzione specializzata nei film a basso costo e nel riesumare vecchie star in cerca di un impiego per tirare avanti.