Pasolini/Ferrara - Sulle tracce della stella cometa
Il cinema come atto di fede e promessa di rinascita
Ed ecco io sono con voi per sempre. Fino alla fine del mondo.
Il Vangelo Secondo Matteo
Partiamo dalla fine. Nell’ultima, sorprendente sequenza del film Abel Ferrara non si ferma davanti alla morte di Pasolini ma va oltre, filmando le reazioni della famiglia, ed in particolare della madre Susanna Colussi, interpretata da Adriana Asti, che si strazia per la perdita del secondo figlio (il primo, Guido, era morto durante la guerra nell’eccidio di Porzûs del 1945). La macchina da presa stringe sul volto della donna, segnato da una smorfia di dolore e incredulità, che ricorda quello di Maria ai piedi della croce nel Vangelo Secondo Matteo. Ad interpretare Maria fu chiamata, non a caso, proprio la madre di Pasolini, in un cortocircuito cinema/vita che avrebbe trovato il suo tragico epilogo nella notte dell’Idroscalo tra il 1 e il 2 novembre del 1975. I rimandi, più o meno consapevoli, a quello che poco tempo fa è stato definito dall’Avvenire Il miglior film su Gesù mai girato non si esauriscono qui. Nel film troviamo infatti almeno altri due riferimenti diretti, entrambi di natura musicale: il primo a Bach, autore molto amato da Pasolini, del quale riecheggia in diversi momenti l’Aria della Passione secondo Matteo; il secondo a Gloria della Missa Luba, considerato da molti come il motivo musicale più riconoscibile e distintivo del Vangelo, utilizzato da Pasolini sia nei titoli di testa che nei titoli di coda, in modo da inscrivere la traiettoria narrativa cristologica entro i ritmi potenti ed elementari del coro congolese.
Ferrara, coadiuvato dallo sceneggiatore Maurizio Braucci e dal montatore Fabio Nunziata, sceglie questo indelebile segno pasoliniano come accompagnamento per le immagini del progetto incompiuto Porno-Teo-Kolossal, racconto allegorico che avrebbe dovuto riprendere i toni surreali di Uccellacci e uccellini e La Terra vista dalla luna. In quest’ipotesi di film i due personaggi principali, il magio randagio Epifanio e il suo assistente Nunzio, seguono una stella cometa che li conduce, attraverso una serie di tappe sempre più estreme, fino alla fine del mondo e della vita, dove non esiste né il Paradiso né la morte. Questa scelta musicale trasla quindi il motivo cristologico in una storia che narra, al contrario, una ricerca frustrata, quella di un nuovo messia. Ma allora cosa vuole dirci Ferrara?
La collocazione del frammento conclusivo del Porno-Teo-Kolossal dopo la morte di Pasolini suggerisce due vie interpretative: da un lato ci mostra il vuoto incolmabile lasciato dallo scrittore friulano in seguito alla sua prematura scomparsa (il concetto di messia potrebbe essere dunque associato a quello, sempre eretico, di intellettuale e regista); dall’altro mette in scena la rinascita del cinema pasoliniano nell’oggi. Perché solo nell’oggi e dall’oggi è possibile pensare Pasolini, per rivendicare la centralità del suo pensiero nel mondo contemporaneo, certo, ma anche come naturale presa di coscienza del tempo trascorso. Un tempo che nessun artificio cinematografico più o meno efficace (la lingua, gli attori, la recitazione, i costumi, le scenografie, il trucco) potrà mai portare indietro. Ecco allora che questo tempo lo ritroviamo scolpito come un segno indelebile sul corpo di Ninetto Davoli, “costretto” suo malgrado a non poter più recitare il suo ruolo; e scandito dalle ultime ore che separano Pasolini dal suo assassinio, in una tensione costante verso il suo superamento. La morte di Pasolini viene mostrata nel film come inevitabile e in un certo senso “scontata”.
Di qui quella progressiva scomparsa dall’immagine minacciata sin dalle primissime inquadrature. L’opera di Ferrara mette in scena il passato come una danza di spettri e di ombre che, consapevoli della loro effimera consistenza, non possono fare altro se non immaginarsi altrove e sotto altre forme, ovvero sognare il cinema. E allora se non si crede in un corpo che dovrebbe sostituirne un altro, morto quasi quarant’anni prima, non resta che il cinema come atto di fede e promessa di rinascita. Una rinascita evocata dall’icona cristologica scorsesiana di Willem Dafoe – pestata a sangue in una posizione che ricalca, nell’intreccio dei corpi, quella della crocifissione – e soprattutto dalle immagini che concludono Porno-Teo-Kolossal, poste significativamente oltre Pasolini, dove vediamo Epifanio (Ninetto Davoli) e Nunzio (Riccardo Scamarcio) constatare come la fine non esista. Nonostante la morte, allora, le immagini di Pasolini continuano a circolare, diffondersi, trasformarsi nel cuore e nell’opera di un altro regista che guarda al cinema non come dimora della conservazione, ma come una sfida continuamente lanciata verso l’avvenire.