Avengers: Age of Ultron
L’impronta di Whedon e un approfondimento dei personaggi in un film comunque troppo impegnato a bilanciare i temi e gli spazi dei suoi eroi per avere un'identità propria
Strappo nel cielo di carta di un mondo fino ad allora ignaro di eroi e villain, la Battaglia di New York si colloca sempre di più come il perno centrale dell’intera architrave narrativa edificata dai Marvel Studios negli ultimi anni. Ogni filone della fase due, cinematografico o televisivo che sia, deve in qualche modo confrontarsi con questo snodo, che rivela al mondo la realtà dei supereroi e pone questi ultimi a confronto con l’autentica portata della sfida. Ciò che è oltre, lontano nello spazio/tempo ma ugualmente portatore di morte. Thanos.
Peccato però che tale evento continui ad essere raccontato soltanto dallo stesso lato, quello degli eroi stessi. Della gente comune e delle loro paure, dei modi in cui cambiano le esistenze e le credenze e le politiche di quel mondo ormai vecchio la Marvel cinematografica continua a non curarsene (qualche passo avanti a riguardo lo fa la grandiosa Daredevil firmata Netflix). Anche questo Avengers: Age of Ultron guarda soltanto ai suoi eroi e non al mondo che li circonda, nonostante la consapevolezza nata dalla battaglia di New York sia diventata lo spunto che smuove trame e personaggi: armature, martelli magici e scudi di adamantio possono fare ben poco di fronte la portata di ciò che sta per arrivare, serve qualcosa di più, serve creare Ultron.
La formula dei Marvel Studios è ormai tanto fondamentale nel panorama del blockbuster contemporaneo quanto ripetitiva e fedele a sé stessa. Ha poco senso allora tornare a criticare i limiti dell’umorismo ammiccante che è ormai marchio di fabbrica di quest’universo sempre più per famiglie e meno per nerd, più interessato alla costruzione di un brand che a sfruttare la serializzazione di film in film per costruire un mondo autenticamente stratificato e complesso. Può essere più utile allora notare come il capitolo conclusivo di questa fase narrativa si riveli alla fin fine più stanco del precedente, troppo impegnato nel bilanciare tra loro gli spazi e i toni narrativi dei suoi eroi per coltivarne compiutamente di propri. Nonostante la presenza di Hulk sia ancora una volta l’elemento di disturbo per eccellenza, troppa parte del film corre lungo binari talmente calibrati che escludono necessariamente ogni libertà, ogni respiro fuori controllo. E’ come se rincorrendo una logica da best of il film rinunci ad avere un’anima propria e autonoma, e la prova più evidente è il confronto con l’alto livello raggiunto dai recenti Guardiani della Galassia. Costruendo una mitologia da zero, il film di Gunn ha potuto abbracciare in pieno la formula ironica della Marvel senza perdere tempo a fingersi altro, e il risultato è stato una commedia fantascientifica perfettamente coerente. Avengers: Age of Ultron è invece una girandola di film senza esserne alcuno per davvero.
A salvare la visione allora è lo sguardo appassionato di Joss Whedon, l’unico regista assieme a Sam Raimi a saper trasmettere l’autentico, infantile sense of wonder suscitato dalla visione dell’azione supereroistica. Quando lavora al meglio Whedon riesce effettivamente a dirigere i suoi eroi in un affresco corale gustosamente pop ma comunque tanto potente da togliere il fiato – come avviene nella prima, sorprendente, sequenza del film – tuttavia troppo spesso i momenti di meraviglia si diradano per fare posto ad una storia sbrindellata (ma va anche bene) che però porta avanti di poco la situazione narrativa generale. Paradossale per un film centrale come questo, ma se fossimo in televisione chiameremmo Age of Ultron un colossale filler, un gargantuesco riempitivo posto in attesa che i numerosi fili narrativi si chiudano con i due capitoli di Infinity War. Le poche scene di continuity sembrano quasi sviste di montaggio, tracce di un altro film più radicato nella storia principale ma che è finito per vivere solo al di sotto della versione uscita nelle sale.
Senza una trama orizzontale forte o un unico tono cinematografico a unire il tutto, a fare da collante dei 150 minuti di film sono allora i personaggi, i nuovi e convincenti Quicksilver e Scarlett, ma soprattutto i Vendicatori relegati in precedenza in posizioni secondarie. Occhio di Falco e Vedova Nera infatti trovano tanto spazio in Age of Ultron da dominare da soli diverse scene. Tra storie d’amore e ritratti familiari, è a loro che spetta donare quella prospettiva più umana e comune che ormai il terzetto di supereroi protagonisti non riesce più a coprire. Questa sensazione di cambiamento è aumentata anche dalla posizione decentrata assunta dal personaggio prima più invasivo, Iron Man, che pare davvero impegnato in un passaggio di consegne – anche se il prossimo Civil War ci dice che non sarà esattamente così. In attesa del ritardatario Ant-Man questa fase due si chiude così con il possibile addio di Whedon alla macchina Marvel, un commiato che lascia dietro di sé una storia divenuta forse troppo vasta, troppo espansa, troppo bisognosa di conteggi di inquadrature e minutaggi tra i vari eroi per riuscire a vivere compiutamente all’interno di un’unità cinematografica.