Baby Driver - Il genio della fuga
Attraverso un progetto apparentemente più commerciale, Edgar Wright riflette su dinamiche autoriali, iconografiche e spettacolari, cercando l'armonia fra il suo universo interiore e il mondo.
Nell’estrema sintesi della fuga iniziale è già iscritta l’intera storia di Baby Driver – Il genio della fuga e il pensiero cinematografico di Edgar Wright: un abilissimo pilota automobilistico che, nel tentativo apparente di sovvertire l’ordine delle cose (perpetuando un crimine), cerca invece la sua personalissima redenzione che lo aiuti a ritrovare armonia con il mondo. Al pari dei personaggi dell’universo-Wright, anche Baby vive in una realtà tutta sua, che però si ritrova disallineata rispetto al contesto per colpa di una minaccia esterna: altre volte erano zombi, alieni o assassini, stavolta è un errore commesso in passato che torna ciclicamente a esigere il suo tributo. Eppure Baby ci prova a preservare quel suo mondo, attraverso la chiave di volta fornita da una musica che sia capace di dettare i tempi e ritmi dell’azione.
Non sbaglia chi, per questo motivo, ha visto in Baby Driver un musical mascherato: ma la dialettica fra musica e azione non è propedeutica soltanto alla messinscena delle (splendide) sequenze d’azione e dei (magnifici) inseguimenti d’auto, che rivitalizzano materia già resa grande da William Friedkin, John Frankenheimer, Peter Yates e, ovviamente, Walter Hill (citato sin dal titolo). Diventa invece un viatico per quell’armonia che il protagonista insegue e che amplia le direttrici del rapporto fra l’universo-Wright e il mondo “di fuori”. L’azione di Baby, così, non serve soltanto a riparare all’errore del passato: al contrario, gli disegna un nuovo modello di famiglia, dove il “cattivo” Doc diventa una figura vicaria di quella paterna perché in un certo qual modo asseconda il suo talento e gli permette di esprimersi e di raffinare quel rapporto musica-mondo che gli dona letteralmente vita. La natura “bambina” (Baby) del protagonista – esaltata dalla felicissima scelta di casting di Ansel Elgort, con il suo volto adulto/infantile – si ritrova infatti anche nell’inedia con cui il personaggio sembra attraversare il mondo, imperturbabile dietro i suoi occhiali da sole: solo quando la musica entra in campo le emozioni possono fluire e lo aiutano a stabilire legami affettivi, a comunicare con il prossimo e a stabilire la relazione fra il mondo interiore e quello esteriore.
Superfluo aggiungere quanto l’idea suggerisca un possibile livello di lettura traslato sulla carriera dello stesso Wright, che esce dalla frustrante esperienza di Ant-Man con i Marvel Studios: un progetto lungamente sognato e poi abortito per le interferenze dello Studio che «non era pronto a fare un film di Edgar Wright» e che sembrava aver scavato un solco fra l’autore e la politica delle major.
La ricerca d’armonia di Baby si riflette perciò in quella del suo autore, e immagini come quella del ragazzo che porta a termine il colpo con successo, salvo poi disinteressarsi del denaro per gettarlo con nonchalance sotto le assi del suo appartamento, iscrivono una volta di più Wright fra gli autori più consapevoli della posta in gioco su cui si fonda l’immaginario globale contemporaneo e la dialettica fra autori e incassi. Per questo Baby Driver appare come un progetto più commerciale del solito, maggiormente pensato per il grande pubblico, ma con un’anima intimamente ribelle – un possibile parallelo può stabilirsi con Drive, che ha permesso a Nicolas Winding Refn di uscire dalle maglie del culto per i pochi e diventare così un autore noto al pubblico più allargato. La presenza, in entrambi i casi, di un super-pilota non è casuale: se la posta in gioco è quella dell’immaginario, il grimaldello diventa proprio il lavoro sull’iconografia di elementi fondanti della cultura americana, come l’automobile appunto.
Baby Driver è, per questo, un film che va inseguito: per comprenderne il fitto intreccio di traiettorie fra l’interno e l’esterno, e il gioco di mimesi che il protagonista stabilisce con i generi mentre l’autore fa lo stesso con il mercato. Ma può anche essere goduto con lo slancio della tenera storia d’amore nata fra i tavoli di un bar. Ancora una volta, la sequenza iniziale ci dice già tutto: Baby cerca di sfuggire ai mezzi della polizia che presidiano la strada e i cieli. Per far questo si allinea ad altre due auto simili alla sua, salvo poi scambiare posto mentre passa sotto un ponte. Il classico gioco delle tre carte, pardon, delle tre auto, che dice del divertimento da prestigiatore con cui Wright si emoziona insieme allo spettatore mentre scompagina le regole, e confeziona il suo personalissimo piccolo film americano.