Quel fantastico peggior anno della mia vita

Reinterpretazione metalinguistica di un classico cliché melodrammatico, il film celebrato al Sundance Film Festival adotta una visione alternativa che omaggia la storia del cinema.

Fin dal titolo originale (Me, Earl and The Dying Girl), in Quel fantastico peggior anno della mia vita si afferma la volontà di sfruttare uno specifico topos narrativo già di per sé estremamente abusato. Questa consapevolezza permette una nuova reinterpretazione del modello originale, eliminando alla base alcuni suoi elementi caratteristici. La "ragazza morente" del titolo si chiama Rachel ed è a tutti gli effetti un’adorabile, sensibile, fragile ragazzina col cancro: è dunque ovvio che non potrà non conquistare il protagonista, Greg. Se non fosse che qui non nascerà nessuna storia d’amore. Rachel e Greg non si innamoreranno mai, anzi lui manterrà intatta la stessa scontata attrazione per la ragazza più sexy della scuola.

Se lo scopo di Quel fantastico peggior anno della mia vita è di prendere un soggetto classico e alterarne la composizione, ciò non gli impedisce di attuare sugli spettatori un movimento diversamente manipolatorio nel modo più autoreferenziale possibile: celebrando il cinema. Greg difatti è un appassionato cinefilo che passa le ricreazioni a guardare film, ma soprattutto produce insieme al compagno Ear) remake amatoriali che è il primo a giudicare tremendi. È dunque egli stesso consapevole dei topoi narrativi ricorrenti nel cinema, tra cui quello stesso della “ragazza morente"; né esita a interrompere il racconto anticipando un eventuale finale che possa modificare lo stato d’animo del pubblico. Rachel scopre il cinema attraverso le reinterpretazioni di Earl e Greg, e in un secondo tempo, questi si trovano a dover soddisfare la richiesta di un film specificatamente pensato per la ragazza; il cinema sostiene, riempie le vite, può perfino uccidere.

Nessun immagine poetica o mielosa: quello passato con Rachel è davvero il peggior anno per Greg. Angosciato dalla prospettiva della richiesta per il college, finisce per andar malissimo a scuola, inoltre si mette per la prima volta in mostra distruggendo l’equilibrio di ipocrisia e noncuranza con cui gestiva i rapporti coi compagni. Ha una pessima idea di se stesso e non riesce a instaurare una relazione spontanea con qualcuno, arrivando a definire quello con Earl un rapporto non di amicizia ma di lavoro. I genitori poi, appaiono come figure grottesche facili a comportamenti fuori le righe, lontane da un ruolo affidabile. L’universo del film si colloca in una dimensione negativa continuamente mediata dall’ironia, centrata sull’esistenza problematica del protagonista; ma nel finale anche la ragazza morente, personaggio che di solito non si allontana molto dal dover essere soprattutto, e soltanto, qualcuno che sta per morire, si vedrà restituito un suo sguardo personale.

La natura comprensibilmente “carina” di Quel fantastico peggior anno della mia vita opera perfettamente inserita nel canone del film indie godibile (non a caso, ha trionfato al Sundance Film Festival di quest’anno) potrebbe apparire troppo costruita per uno spettatore cinico, ma la storia sa commuovere con naturalezza. La crescita, l’incontro col dolore, la paura di aprirsi agli altri e mettersi in gioco, sono temi di valore quanto facilmente sfruttati, ma il film, pur proponendo uno schemo già conosciuta dal quale prende allo stesso tempo le distanze, sa convincere e coinvolgere, accettando di manipolare lo spettatore solo nel modo più tenero. E il cinema come splendida, fulgida morte, nonché estrema immagine vitale, è un’idea troppo potente per non essere amata.

Autore: Veronica Vituzzi
Pubblicato il 28/11/2015

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