Air - La storia del grande salto
La storia del grande salto da immagine a icona, da accordo commerciale a immaginario collettivo, ma soprattutto una storia sul saper guardare.
C'è una scena, in Air, che più di altre sembra delineare e indirizzare l'intero film, sino quasi a chiarirne le intenzioni apparentemente più recondite. Quella in cui Sonny Vaccaro, manager e osservatore per la divisione pallacanestro della Nike, interpretato da Matt Damon, guarda e riguarda le VHS contenenti azioni e partite dei migliori giocatori del draft del 1984, soffermandosi sul punto decisivo segnato da Michael Jordan nelle finali NCAA di due anni prima. È riosservando più volte quel celebre tiro che Sonny si rende conto di un qualcosa che era sfuggito all'attenzione di tutti e che non era stato ben interpretato. Ed è in quel momento, tra un riavvolgimento del nastro e l'altro, che capisce quanto il talento di Jordan sia superiore e differente rispetto a ciò che si possa immaginare, decidendo di puntare esclusivamente su di lui per gli accordi commerciali, nonostante i rischi enormi e le ritrosie degli altri dirigenti.
Quasi in tutti i film diretti da Ben Affleck arriva, prima o dopo, un momento analogo, e non è solamente uno snodo narrativo, piuttosto un cambio di percezione e di prospettiva o addirittura un nuovo modo di guardare e di intendere il racconto e il mondo che rappresenta. Pensiamo ad esempio alla scena in cui, in Gone Baby Gone, Patrick Kenzie coglie nelle parole del detective Bressant un'incongruenza decisiva, dando di fatto un nuovo avvio al film; o ad Argo, dove al protagonista viene l'intuizione guardando Anno 2670 - Ultimo atto (Battle for the Planet of the Apes), anche in questo caso di fronte alla televisione. Ma pensiamo anche a La legge della notte e al secondo incontro tra Coughlin e la Loretta Figgis interpretata da Elle Fanning, forse meno nitido degli altri ma altrettanto indicativo di una variazione di tono e di sguardo.
Pur discostandosi molto, all'apparenza, dai film precedenti di Affleck, Air trova quindi una continuità tanto narrativa (compreso l'andamento da thriller, seppur virato in toni da commedia e da biopic sportivo) quanto tematica, con la storia di un uomo alle prese con una missione ritenuta impossibile (come lo erano i tentativi di esfiltrazione in Argo o di sopravvivere al mondo della criminalità in The Town e La legge della notte). Ma sono soprattutto la storia e l'anima dell'America a rappresentare il nucleo del suo cinema, attraverso le sue fondamenta, la sua immagine, ma anche le sue contraddizioni, misurando e rilevando le ombre degli ideali americani e in particolare della famiglia, del sogno e della libertà ("io non voglio essere libero" arriva a rispondere Coughlin nel finale di La legge della notte, dopo un dialogo sulla libertà e sul modo per perseguirla). Air è il racconto di uno degli accordi commerciali più celebri del secolo scorso, con una sponsorizzazione che ha cambiato lo sport e che rappresenta lo sviluppo capitalistico al suo apice, ma i protagonisti di tale modello appaiono fondamentalmente uomini soli, in crisi di mezza età e ammantati di un coacervo di stupidità, miopia e rassegnazione.
Eppure – come nel caso di Born In The U.S.A. di Bruce Springsteen, citato da uno dei dirigenti della Nike che solo dopo molti ascolti e dopo essersi soffermato sulle parole si rende conto del reale significato del brano – nel "testo" del film c'è altro oltre alla storia di ambizione, di ricerca di massimo guadagno e del modello americano che sembra esaurire il racconto. Ancora una volta, come spesso accade, dà l'impressione di essere un film anche (e forse soprattutto) sul guardare. O meglio, sul saper guardare, sul guardare davvero. Sulla lettura dell'immagine e sul cercare in essa un punto di vista diverso e una nuova direzione. È esattamente questo che fa il protagonista (torniamo dunque alla scena citata all'inizio) e ne è una rappresentazione persino esplicita, essendo un osservatore sportivo. Guarda e riguarda partite, video e singole azioni, fino a che non osserva ripetutamente il tiro di Jordan, un filmato che "tutti hanno visto" senza però saperlo guardare, tramite cui lui Sonny riesce invece a trasmettere agli altri dirigenti quella sua idea e quella immagine. "Osservalo come l'ho osservato io", ripete Sonny.
Non sembra un caso che nella colonna sonora sia stato inserito il tema, composto da Pino Donaggio, di Omicidio a luci rosse di De Palma (oltre all'ovvia motivazione temporale), un film totalmente sviluppato attorno al concetto di sguardo e all'azione del guardare. Ed è una scelta musicale significativa e quasi avulsa dal resto delle musiche selezionate, l'unico brano a tornare due volte e in altrettanti momenti fondamentali: il decisivo assenso dato dal CEO e soprattutto il momento in cui la scarpa viene svelata per la prima volta. L'immagine, dunque. L'immagine degli anni '80, introdotta dal montaggio iniziale, l'immagine di Jordan, che non compare mai (proprio perché secondo Affleck è un'immagine troppo grande da poter riprodurre) eppure riempie il film. L'immagine del futuro, visualizzata durante il discorso che Sonny rivolge al giocatore (guardando direttamente anche lo spettatore) e che riesce già a prefigurare. Ma anche l'immagine come una delle principali forme del capitalismo, plasmata, sempre più proficua, e che proprio quella sponsorizzazione ha contribuito a spingere oltre un punto di non ritorno. Un grande salto da immagine a icona, da accordo commerciale a immaginario collettivo.