Il bar delle grandi speranze (The Tender Bar)
Adattando il romanzo di J. R. Moehringer, George Clooney torna a immergersi in una nuova odissea sentimentale e a deputare alla percezione la capacità di pensare ancora cinema in quei luoghi da sempre estranei a visioni del genere.
George Clooney lo avevamo lasciato invischiato in un’odissea sentimentale ad astra che faceva ammenda delle colpe della sua generazione, senza mai smettere di credere negli esseri umani e nei loro lancinanti squarci emotivi. E lo riabbracciamo con Il bar delle grandi speranze (The Tender Bar), prequel ideale di The Midnight Sky, anch’esso destinato a quella che, una volta, era la lontana galassia dello streaming.
Tratta dall'omonimo romanzo scritto nel 2005 da J.R. Moehringer – autore vincitore del Premio Pulitzer per il giornalismo di approfondimento e di costume –, questa nuova regia di Clooney riunisce nuovamente il divo americano con Grant Heslov e Ben Affleck, ricostituendo il trio alla base di Argo, la definitiva consacrazione dell’attore statunitense che, più di chiunque altro, sembra costantemente destinato a risorgere dalle sue ceneri per poter tornare a vincere.
Nel processo di traduzione mediale, lo sceneggiatore William Monahan ha scelto di focalizzare la sua attenzione soltanto su alcuni episodi raccontati nel corposo memoir di Moehringer. Così, lo spettatore si trova ad assistere al ritorno del piccolo J.R. e di sua madre – senza un soldo e con un matrimonio fallito alle spalle – a casa dei nonni. Il bambino soffre l’assenza del padre, immediatamente riconoscibile come voce piuttosto che come volto, ma a colmare il vuoto ci pensano il singolare nonno e, soprattutto, l’affettuoso zio Charlie, barista letterato che si trasforma nel suo mentore. Mentre la madre lotta per assicurare al figlio un’istruzione e tutte le possibilità che le sono mancate, J.R. cresce grazie all’amore e alla costante presenza della sua famiglia.
Sono nuovamente l’archetipo del viaggio e il concetto di genitorialità a essere al centro del cinema di Clooney che, attraverso il precedente e quest'ultimo lavoro, sembrerebbe voler trasferire su grande schermo il peso della sua recente paternità. Non è un caso che i gleaming detail che più di tutti risaltano sono proprio i corpi dei familiari di J.R., in grado di riscattare la lontananza della voce paterna, e la vecchia auto di zio Charles, con cui lanciarsi alla rincorsa del futuro. In mezzo a una tempesta pandemica e generazionale che infuria ed è destinata a rifondare inesorabilmente le coordinate del nostro immaginario, il cinema dell’ex star televisiva di E.R. frattura il tempo e si pone come una resistenza al suo scorrere inesorabile. Gestito da un redivivo quale Ben Affleck, il bar The Dickens si trasforma in un ultimo baluardo di umanità – sineddoche della sala cinematografica, ambiente familiare verso cui tendere costantemente e nel quale vivere il più tradizionale dei coming of age.
Per tale motivo, suona ancora più paradossale e straniante il fatto che questo laboratorio classico di affetto, tenerezza e sensibilità sia stato destinato allo streaming – quasi a voler rilocare in ottica casalinga la storia del cinema. Da un lato, si pone il prossimo Licorice Pizza, che (ri)porta in sala la scoperta di nuovi lidi sentimentali e trasla su pellicola gli american graffiti di un cineasta che ha sempre individuato nel cinema ogni originario orizzonte di senso; dall’altro, invece, si colloca Il bar delle grandi speranze che, con uno sguardo speranzoso e luminoso rivolto ai figli – e, quindi, al futuro – deputa alla percezione la capacità di pensare ancora cinema in quei luoghi da sempre estranei a visioni del genere.