Bifest 2015 / Humandroid
Anteprima al Bifest del nuovo film di Neill Blomkamp, che rimane nella fantascienza ma abbandona il thriller e si getta nella action-comedy. Una bella fiaba divertente, sovversiva e selvaggia.
L’eco degli anni ottanta nel cinema sembra non finire mai: continuano a tornare in eterno, probabilmente perchè non sono mai finiti. Negli ultimi tempi i richiami alla decade di E.T., Terminator e Ritorno Al Futuro si sono intensificati, e non fa eccezione il nuovo film di Neill Blomkamp - il regista di District 9 e purtroppo anche di Elysium - del quale abbiamo potuto vedere l’anteprima al Bifest. Arriverà nelle nostre sale ad aprile, e rappresenta una sorprendente sterzata rispetto ai thriller sci-fi che lo hanno preceduto. L’aspetto e il carattere di Chappie, il robot protagonista indiscusso, richiamano in parte l’estetica cyberpunk, ma anche gli universi di Asimov e i sentimentalismi di Spielberg. La pellicola ricorda le tematiche di Corto Circuito, ed è essenzialmente una commedia. Non solo: se non fosse per pochi ma cruentissimi momenti gore, bisognerebbe mostrarlo ai bambini, sui quali l’opera del regista sudafricano avrebbe lo stesso impatto di Pinocchio.
In un futuro prossimo a Johannesburg i robotcops prodotti dalla Tetra Vaal affiancano i poliziotti umani, per merito loro i crimini sono diminuiti significativamente e le esportazioni dell’azienda vanno a gonfie vele. Il loro creatore è Deon (il Dev Patel di The Millionaire), un instancabile ingegnere che riesce a codificare un’intelligenza artificiale in grado di dare ai robot la capacità di pensare, imparare, provare emozioni. E’ osteggiato dalla cinica presidentessa (Sigourney Weaver, che Blomkamp dovrebbe reincontrare nel prossimo Alien, e che qui ricopre un ruolo francamente inutile e poco presente su schermo in termini di minutaggio) e sopratutto da Vincent, il suo rivale ingegnere (Hugh Jackman), che in un film più addomesticato risulterebbe l’unico dotato di buonsenso e preoccupazione per il futuro: il suo progetto si basa infatti sul necessario e indiscutibile controllo umano sui robottoni. Invece Blomkamp lo plasma cattivissimo rancoroso e bigotto, paragonabile (come quasi tutti nel film, del resto) a un personaggio da cartone animato anni ottanta. Se Deon è il Creatore ("perchè mi hai creato, se sono destinato a morire?" chiede disperato il robot esistenzialista), a fare da genitori improvvisati sono i gangster da fumetto (estratti da un parterre di criminali ultraweird che non avrebbero sfigurato nelle fila delle Tokyo Tribes di Sion Sono) Ninja e Yo-Landi, ovvero i Die Antwoord, una band sudafricana rave-rap di enorme successo, che non hanno nemmeno avuto bisogno di imparare a recitare, visto che nel film si comportano più o meno come nei loro videoclip surreali. Chappie, ignaro e timoroso come un cucciolo o un neonato metallico, assorbe gli input positivi da Deon che gli trasmette l’amore per le espressioni artistiche, la gentilezza, la capacità di distinguere il bene dal male; i gangster invece gli insegnano a comportarsi da gangster, attraverso un training esilarante, le cui conseguenze provocano una comicità sovversiva ed esagerata, ai limiti del camp. E intanto Chappie guarda He-Man alla tv.
Il forte sottotesto politico che ha reso District 9 un’esordio coi fiocchi, e che invece non ha salvato Elysium dal fallimento, è del tutto assente in Humandroid ed è stata una scelta azzeccata: se i temi inflazionati della A.I. e delle sue implicazioni filosofiche, oltre che degli effetti spaventosi sul futuro dell’umanità, fossero stati trattati con maggiore serietà, il risultato sarebbe stato tedioso e obsoleto. Blomkamp la butta invece in caciara e risate grasse, costruendo un giocattolone action-comedy selvaggio e spiazzante. E’ una fiaba per adulti mai cresciuti, che non piacerà ad esempio a chi ha detestato Il Ragazzo Invisibile di Salvatores, con una sceneggiatura elementare e costruita con le regole del mainstream. Nasconde comunque un carattere non addomesticato, figlio appunto degli anni ottanta. Alcune trovate del regista, mimetizzate tra una gag e l’altra, risultano politicamente più efficaci di mille discorsi: mette i brividi la visione degli effetti devastanti di una cluster bomb, e riporta inevitabilmente la memoria ai reportage dall’Iraq e dalle altre guerre di questi anni. E il sorriso si deforma in una smorfia.