Sette minuti dopo la mezzanotte
Dietro l'aspetto fantastico, sette minuti dopo la mezzanotte, stratifica la memoria comunicazionale di una società contando su un racconto che incanta lo spettatore
Sette minuti dopo la mezzanotte. È questa l’ora in cui il Mostro, un gigantesco albero venuto a raccontare tre storie, si presenta a Conor, esigendo da lui un quarto racconto ‹‹sulla cosa più pericolosa di tutte: la verità››. Conor è un dodicenne vittima di bullismo a scuola e costretto a vivere con la nonna, a causa della malattia della madre. La creatura fantastica che il ragazzino invoca per essere aiutato più che per aiutare è un imponente tasso che gli consentirà di sfuggire alla solitudine del suo mondo reale.
C’erano una volta Cleveland Heep e Story, un custode ed una Narf giunta dalle profondità della piscina di un condominio invisibile al mondo, il The Cove, impegnato in un lavoro collettivo sotto forma di una narrazione da costruire. Attraverso la storia (e attraverso Story) si rafforza e si perpetua l’esistenza dei singoli e delle comunità sociali. Il condominio The Cove è un albero sradicato, un libro di fiabe senza destinatario, un uomo invisibile in attesa che si palesi nuovamente il proprio riflesso sulla superficie di una piscina a forma di occhio, ultimo elemento identificativo ed umano in un corpo sintetico.
Allo stesso modo in cui il custode del The Cove ha visto la propria identità andare in crisi, anche la quotidianità di Conor si è infranta sotto i colpi di una malattia che ha martoriato fisicamente il corpo della madre. I racconti del Mostro, in tal senso, sono oggetti mediali che rimediano (al)la realtà di una storia sconosciuta persino a sé stessa (Conor non ha la più pallida idea di quale possa essere la quarta storia da raccontare al Mostro). Nella sua trasposizione dell’omonimo romanzo di Patrick Ness e Siobhan Dowd, Juan Antonio Bayona si dimostra profondamente cosciente delle origini storico-narratologiche del genere: da un lato, come erede diretto delle grandi tradizioni del racconto orale prima e delle fiabe codificate poi; dall’altro come lo strumento formatosi e strutturatosi in età ottocentesca atto a fornire al suo fruitore un mezzo attraverso il quale istituzionalizzare ed omologare nuove forme del vissuto quotidiano. Dietro la semplicità di un testo di genere si nasconde la stratificazione della memoria culturale e comunicazionale di una società che, in Sette minuti dopo la mezzanotte, attinge alla forma del racconto orale, del disegno e, infine, dello stesso spettacolo cinematografico. King Kong di Schoedsack e Cooper proiettato nel salotto di casa e visionato da madre e figlio, oltre alla presenza di una piccola lanterna magica e di altri giochi ottici, arricchisce il mondo partorito da Ness e Dowd. La dimensione metalinguistica collega lo spettatore ad un aspetto primigenio dell’esperienza di un mezzo di comunicazione che, negli anni ’30, si affermava come il più adatto ad affabulare ed incantare le coscienze dei suoi fruitori. Ed il cinema diventa specchio di sé stesso, si racconta e si osserva raccontare.
Tornando al paragone con Lady in the Water, ad importare a Shyamalan, come da tradizione è l’accettazione di un ruolo nel contesto di una dimensione comunitaria che viene ritrovata nella condivisione di storie; viceversa, nel film di Bayona, la trasformazione della propria esperienza vitale mediante il racconto riguarda l’ambito individuale. Sette minuti dopo la mezzanotte è un cinema di affetti, stupore e sorpresa; è fondamentale vivere il rito della sua narrazione, il cammino iniziatico fatto di leggi severe, simboli, aiutanti e nemici: un percorso di domande e risposte difficili da raggiungere dove tutto è necessario. Con la consapevolezza che non vi è nulla di più importante della fede nel racconto. ‹‹Thank you for saving my life, Story››.