Eighth Grade
Il film d'esordio di Bo Burnham insegue un'adolescente divisa fra il desiderio di autenticità e le facile maschere dei social network.
Essere te stesso può essere difficile, afferma Kayla in uno dei video del suo canale Youtube. Anche se è solo una ragazzina, in procinto di andare al liceo, sa bene di cosa parla: a scuola il suo carattere silenzioso la emargina dagli altri compagni, non sa farsi notare e viene ignorata da tutti. Sembra la trama di un film già visto e in effetti Eighth Grade racconta una storia vista mille volte sul grande schermo, provando però a coglierne nuovi aspetti. Se Kayla cerca faticosamente di farsi accettare dai suoi coetanei indossando una maschera più appetibile, anche suo padre, al tempo della scuola, è stato un giovane anonimo e poco considerato: segno che negli ultimi decenni ogni generazione di giovani ha dovuto confrontarsi con le ansie e gli smarrimenti di un’età di metamorfosi. L’unica differenza, di non poco conto, è che la figlia può ora fingere su Internet, tramite selfie e video in cui appare felice, sicura e ben truccata, una serenità che non prova affatto.
È banale uso comune, per chi è ormai cresciuto, mostrare preoccupazione e scetticismo verso i più giovani: chissà perché paiono sempre più incolti, maleducati e stupidi di quel che eravamo noi alla loro età. È però vero che sarebbe da ciechi ignorare la particolare peculiarità dei nati nei primi anni del Duemila, sottoposti a un’evoluzione tecnologica e sociale di portata immensa e repentina. Essere se stessi diventa oggi una questione raddoppiata, perché la costruzione di un’identità da inserire nella società va affiancata alla creazione di un’identità digitale sui social network. Poiché sta accadendo proprio in questi anni, è ancora difficile valutarne l’impatto mentale sul senso adolescenziale della percezione della realtà. Abituati a scorrere sul telefono ogni giorno un flusso infinito di informazioni e immagini frammentate, frasi banali espresse con un linguaggio semplificato, i giovani spesso rivelano una drammatica soglia di attenzione, benché abbiano già interiorizzato l’esigenza di essere in posa e sembrare felici, se non nella vita reale, almeno su Internet.
Non che gli adulti siano più svegli e intelligenti; al massimo sono solo neurologicamente più maturi. Il padre di Kayla non manca di possedere un tablet, e malgrado deplori la scarsa attenzione della figlia alle sue parole non ne riconosce il latente disagio e la crede popolare e felice come lui non aveva saputo essere da ragazzino. L’abitudine a filtrare e rielaborare la realtà tramite lo schermo di cellulari e computer sembra rendere piatto e semplice lo stesso modo di interpretare le cose: Kayla, benché vittima di quel pregiudizio adolescenziale che considera degno di interesse chi sa meglio darsi un tono, lo perpetra essa stessa, disdegnando altri “sfigati” come lei per cercare l’attenzione di compagni che hanno saputo crearsi un’immagine più popolare. Certo, l’adolescenza è stata anche in passato sinonimo di immaturità e del desiderio di omologarsi abdicando alla propria autenticità, ma Eighth Grade sottolinea come a riguardo Internet abbia ora un ruolo amplificatore che può deformare il modo in cui i giovani percepiscono se stessi e gli altri. Soprattutto nel sesso. Nell’adolescenza l’appetibilità sessuale è una delle più potenti monete di scambio per acquisire successo con le persone, e applicata ai moderni mezzi tecnologici facilita enormemente l’esposizione degli individui in forma di immagini e video erotici. Incapace di sostenere una conversazione normale col ragazzo per cui ha una cotta, Kayla cerca di accendere il suo interesse parlando delle foto di lei nuda che tiene sul cellulare; questa eccessiva disponibilità, dovuta a nient’altro che una profonda insicurezza, viene facilmente fraintesa e sembra ovvio – e comodo – per molti pensare che l’esibizione di disinvoltura corrisponda a una reale consapevolezza sessuale.
Il film di Bo Bornham cresce di tono drammatico insieme allo smarrimento della protagonista; poi, dopo un’ultima tesa emozione, si scioglie nella sua dolceamara accettazione di sé e della propria solitudine. Bisogna rassegnarsi alla possibilità che l’adolescenza sia una battaglia dolorosa e irta di sconfitte dove si sotterrano i propri sogni infantili, ma ciò non significa che non se ne possano sognare altri. Eighth Grade si conclude in modo ambiguo, appiattendosi sulla formula di uno slogan che sembra una frasetta motivazionale da pubblicare su Instagram con accanto una foto patinata, ma lascia ai margini un senso più ampio di inquietudine per una generazione di cui non sappiamo immaginare il futuro.