Cannabis Rock – Gli arrampicatori che vissero il nuovo mattino, questo il titolo che Franco Fornaris decide di dare nel 2005 al suo documentario che, non fosse per il sottotitolo, si sarebbe detto trattare i “classici” temi dell’ormai nota triade SDR: Sesso, Droga e Rock & Roll. E invece il documentario di Fornaris non tratta né storie di droga né tantomeno storie di musica o musicisti, in quanto i protagonisti del suddetto sono appunto, come da sottotitolo, degli arrampicatori (il titolo “Cannabis” si rifà al nome omonimo di una via di parete nella Valle dell’Orco).
Con quest’opera, prodotta in associazione con Fandango, Montagnedoc e Regione Piemonte, Fornaris porta sullo schermo un vero e proprio pezzo di sconosciuta storia italiana; e lo fa illustrandoci la breve ma intensa esperienza di un gruppo di giovani scalatori torinesi che, durante gli anni ’70, irruppero nella ferrea tradizione alpinistica italiana rovesciandovi una ventata di rivoluzione e innovazioni senza precedenti. “Beat” li definisce Fornaris nel video, in chiaro rimando alla Beat Generation di Kerouac & Co.: il ben noto movimento americano che esprimeva le ansie e le frustrazioni di una gioventù smarrita e senza risposte, che mal si rispecchiava nelle convenzioni del presente.
Ed effettivamente, anche il gruppo di questi giovani scalatori, conosciuto come “Circo volante” o “Mucchio Selvaggio”, fu portavoce di una evidente volontà di ribellione e rottura contro i tempi; accentuata notevolmente da quel periodo rivoluzionario e turbolento di cui fu figlia diretta: il ’68 italiano. Così in quell’epoca il giovane gruppo, trascinato dalle idee dello scalatore/teorico Gian Piero Motti, inaugurò il suo “movimento”, ispirandosi alla nuova tendenza filosofica dell’arrampicata su parete californiana, rifuggendo la figura classica dell’eroico alpinista che scala la vetta. “Nuovo Mattino” questo il nome del movimento; come a voler simboleggiare la volontà di chiudere con un passato oramai avvertito come ortodosso e claustrofobico per rinascere finalmente a nuova vita, approcciando al mondo della scalata con nuove filosofie, mezzi e aspirazioni.
Dalla costruzione del documentario, delle interviste e dalla scelta compositiva dell’opera tutta, appare chiaro fin da subito che quello che vediamo è un Fornaris estremamente affascinato dalla sua stessa opera o, per meglio dire, dai suoi protagonisti che palesemente vengono fatti apparire come degli eroi. Non è infatti difficile constatare, nel corso della visione del documentario, dove l’occhio del regista è più predisposto a pendere; e dove di conseguenza è portato a pendere anche l’ago della sua bilancia.
Alla resa dei conti, però, questa scelta di percorso non sfocia affatto in risultati negativi. Anzi ci aiuta a entrare sempre più nel film, in causa del fatto che noi stessi veniamo attratti dalle umane, bizzarre e differenti personalità dei protagonisti. Tuttavia è doveroso sottolineare come il regista, pur avendo posto maggiormente l’accento sulla figura eroica dei protagonisti, non abbia dimenticato di inserire a rigor di professionalità, critica e buona riuscita, un necessario contraddittorio, senza il quale, ovviamente, non sarebbe possibile alcuna critica o riflessione sull’argomento; in questa come in qualsiasi altra opera. Vediamo allora come alla figura rivoluzionaria del “Circo Volante” vengano contrapposte le figure “tradizionaliste” e obiettive del famoso e ormai defunto Emanuele Cassarà (uno dei padri delle gare di arrampicata nonché autorevole giornalista del settore alpinistico) e dell’alpinista Andrea Mellano; i quali, in un certo senso, fungono anche da coscienza; intervenendo tempestivamente in quei momenti delicati in cui entra in gioco il vasto tema metafisico e filosofico dell’uomo e della montagna.
Tema al quale dà il suo contributo anche Fornaris (ovviamente in materia di estetica e di immagini), immortalando in una piccola scena molto interessante una mantide religiosa che scala pazientemente una parete. Un’efficace metafora della motivazione che spinge un essere vivente ad affrontare il rischio dell’arrampicata; motivazione che Fornaris sembra in questo modo attribuire a una naturale ed atavica pulsione della vita stessa. Ed è a questa pulsione, unita alla volontà di ribellione, di diversità, che obbediscono gli eroici arrampicatori immortalati da Fornaris. Ragazzi, oggi uomini, che su loro stessa ammissione dichiarano senza problemi di aver fatto di tutto per essere diversi, apparire diversi ma soprattutto sentirsi diversi; spesso e volentieri semplicemente con l’impeto e l’esuberanza della gioventù, che ingenuamente, a volte, non si cura nemmeno della morte.
Ma sulla montagna “la morte è sempre una sconfitta, e quindi un’alpinista morto non è un eroe ma è uno sconfitto” ci ricorda saggiamente (e duramente) l’alpinista Andrea Mellano. E infatti sarà proprio la morte, viaggio infinito da cui non c’è più ritorno, a far tornare sulla terra i ragazzi del “Circo Volante”, strappandoli di colpo dalla loro innocenza, facendoli piombare senza preavviso né corde di sicurezza nella realtà.