Il volto nascosto della paura

La paura ingrossa il pericolo.

Proverbio Italiano

La paura è un’emozione, uno stato tensivo accompagnato da timore, ansia e battito cardiaco accelerato. Tra le varie gradazioni della paura c’è il terrore, estremo avamposto dove neanche l’istinto alla fuga riesce a sopravvivere, fuggendo verso l’interno, ci blocca e, se fondato, ci condanna. La paura crea traumi emotivi, a volte talmente profondi da impedire al nostro organismo di riportarli alla memoria, costringendoci a tenerli assopiti, disattivati ma non spenti, stati emotivi estremi che si possono risvegliare dopo un forte stress oppure dopo esserci spaventati nuovamente. Ma dove risiedono queste memorie abbandonate? Quale registro del nostro corpo mantiene il dato di un possibile riaffiorare della paura stessa? Dov’è che il terrore nasconde l’altro lato del suo oscuro volto, mantenendolo assopito fino ad un imperante ritorno di fiamma?

Il duo registico formato da Enrico Cerasuolo e Sergio Fergnachino, attraverso questo loro documentario intitolato Il volto nascosto della paura (prodotto da Zenit Arti Audiovisive), ci danno delle indicazioni di localizzazione, creano una mappatura biologica della sensazione più sgradevole ed angosciante che possiamo mai provare. La paura risiede in noi, abitando in una specifica zona del nostro cervello posta al di sopra del tronco celebrale ed antistante alla formazione dell’ippocampo. Da questa zona a forma di mandorla, denominata “amigdala”, partono delle interconnessioni che permettono l’attivazione del sistema nervoso, permettendo una manifestazione tangibile ed organica della sensazione del timore. L’amigdala è un registro di emozioni manifestate, una specie di “scatola nera” del nostro sistema nervoso emotivo.

Tanto è stato il terrore dei superstiti dell’undici settembre del 2001, quando la penisola di Manhattan ed il mondo intero è stato sconvolto dal terribile attentato alle Torri Gemelle. Dopo questa data è stato scritto di tutto, è stato girato di tutto: resoconti, documentari, libri, articoli e tanto altro. Nell’equazione del disastro sono state considerate tutte le varianti: attentatori, mandanti veri o presunti, motivazioni chiare o meno, intervistando le persone coinvolte nella strage, le famiglie delle persone morte, tutto, nella disperata ricerca di trovarne le cause, cercando di documentarlo il più possibile. Un’inondazione di informazioni, immagini, interviste che hanno scosso il terreno culturale mondiale, fiumi di segnali terrorizzanti per il nostro tessuto societario tesi ad informare e metabolizzare, sotto ogni aspetto, la possibilità della nostra indifesa caducità, oppure, nel tentativo di ricordarlo a chi l’ha vissuto, mantenendo alta l’attenzione nell’amigdala. Storicizzarlo il prima possibile mentre lo si allontana dall’invincibile e perfetta democrazia occidentale.

Due casi particolari vengono esaminati dagli esperti professionisti della psicologia terapeutica e biologica: un uomo, coinvolto direttamente nell’attentato e con un passato di traumi infantili nascosti e rimossi e una donna, coinvolta sia nell’attentato del ’93 sia nella catastrofe del ’01. Due casi particolari, due storie interessanti per capire come la paura si struttura in noi e, molto spesso, ci governa. “Dove c’è paura non c’è religione”, sosteneva Gandhi: invertendo i fattori dell’equazione libertaria del Mahatma indiano, potremmo dire che dove non c’è più religione ad incutere paura sarà la paura stessa ad essere esercitata. Dubbi su possibili fattori aggiuntivi all’equazione “11 Settembre”, perché complottisti ma sempre domandati, ma interessanti da analizzare se rapportati allo stato di tensione che la paura crea, organicamente, in ognuno di noi. Dubbi che non vengono alzati purtroppo nel documentario in questione, dove la paura è molto più intima e legata, per lo più, solo a due casi umani, particolari ed unici, attraverso i quali costruire un documentario per lo più didattico, dove si osserva da un punto di vista clinico – esplicato anche attraverso delle animazioni semplici e comunicative – gli effetti della paura nell’organismo delle persone.

Il lato umano e psicologico del loro comportamento è evidenziato dalle storie solo di due persone coinvolte, restringendo il terreno d’indagine all’osservazione del microcosmo sociale ed esistenziale di due singoli individui, per lo più speciali ma non indicativi. Lasciando in questo modo inalterate le domande più interessanti per una lettura a lungo termine del fenomeno, quelle appunto di un’indagine della paura anche sul macrocosmo sociale e mondiale della tragedia. Nonostante questa differenza di intenti, i due registi confezionano un buon lavoro: sono molti gli specialisti interrogati, e i due casi che vengono esaminati, nelle loro rispettive unicità, lasciano sempre qualcosa, lavorando sul racconto umano ed esistenziale di coinvolgimento diretto in un attacco terroristico. Peccato. Se avessero esteso la loro indagine, senza l’imperativo clinico, avrebbero potuto verificare quell’inevitabile e traverso proverbio italiano appuntato ad inizio pagina. Sintetizzato in un’altra sedimentaria equazione, dove la paura – emozione comune ad ogni umano – riesca ad ingrossare la sensazione di pericolo, mantenendo alta l’attenzione sull’imminente, aggiungendo all’altra equazione “post-undici Settembre” anche la definizione di paura. Attesa e volutamente diffusa nella società per soggiogare come una religione.

Autore: Giorgio Sedona
Pubblicato il 30/12/2014

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